Sabato 12 novembre, nella Basilica di Sant’Ambrogio alle ore 10.30 il cardinale Angelo Scola ha presieduto le ordinazioni di Stefano Accornero e Gabriele Ferrari.
Simone di Cirene che aiuta Gesù a portare la croce nella salita verso il Golgota: corpo che sostiene corpo, spalla a spalla, guancia a guancia. È davvero bella e significativa l’immagine che Stefano Accornero e Gabriele Ferrari hanno scelto in vista della loro ordinazione diaconale. Per la preghiera e l’imposizione delle mani del cardinale Angelo Scola diventeranno diaconi permanenti, a servizio della Diocesi, dopo un lungo discernimento in cui sono stati accompagnati da mogli e figli. E nel loro cammino futuro, che riprenderà proprio dall’ordinazione, hanno deciso di farsi accompagnare dal particolare del dipinto di Sieger Köder che raffigura il Cireneo.
«Mi è sembrato significativo il fatto che Simone, accettando di aiutare Gesù, si mette dalla sua parte e assume il suo stesso sguardo sul mondo e sull’umanità – spiega Ferrari, classe 1956, sposato, con tre figli e residente a Luino -. È quello che mi piacerebbe diventare con l’ordinazione».
Gli fa eco Accornero, che aggiunge: «Simone di Cirene, con una chiamata che non aveva previsto, ha incrociato uno sguardo che lo ha portato a un incontro e si è messo accanto, figlio nelle mani di un Padre, fratello tra i fratelli e amico di Gesù: così mi sento io, anche se qualche volta non distinguo più se è Lui che mi abbraccia e mi aiuta a portare il peso delle mie fatiche».
Stefano Accornero ha 51 anni, è sposato ed è padre di quattro figli. Il cammino diaconale ha arricchito la vita coniugale «nei confronti, nelle discussioni, nel rivedere davanti al Signore l’impostazione della quotidianità». Nel ripensare alla sua vita racconta: «Con mia moglie abbiamo sempre avuto un progetto di servizio già nel fondare il nostro matrimonio, ma io da tempo pensavo a una forma più intensa e strutturata per la mia vita di fede, che mi ha portato nel 2013 all’ammissione definitiva come candidato al diaconato permanente».
L’avvicinarsi della data dell’ordinazione sta creando in entrambi qualche vertigine, qualche paura e a volte la sensazione di non essere degni di questo passo. A rincuorarli c’è il loro motto «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv15,16), che si distacca dalla tradizione dei motti focalizzati sugli aspetti caritativi del ministero, mettendo in luce l’iniziativa di Dio. «Avendo scelto già un’immagine fortemente connotata dall’aspetto caritativo abbiamo pensato di evidenziare l’aspetto vocazionale – spiega Ferrari -. Vorremmo che passasse quel messaggio liberante e consolatorio che ognuno di noi è in grado di fare meraviglie, non per la sua intrinseca capacità, ma perché chiamato e supportato dal Signore. Non dobbiamo aspettare di essere razionalmente pronti e capaci di fare quello che la vita e l’amore verso i fratelli ci chiede, ma dobbiamo avere il coraggio di affidarci al Padre e lui ci darà ciò che noi non abbiamo».
La stessa decisione di intraprendere il cammino diaconale per Ferrari è frutto di una risposta a una chiamata vocazionale, rimasta per un po’ inascoltata. «Circa otto anni fa mi sono trovato a frequentare una piccola parrocchia, dove prestava servizio uno dei primi diaconi ordinati nella nostra Diocesi – racconta -. È stato un esempio tanto vivo e profondo di servizio alla comunità, che è riuscito a liberarmi le orecchie da tutto quel rumore di fondo che mi impediva di ascoltare quella chiamata costante e pressante». Così, dopo un iniziale periodo di discernimento, Ferrari ha intrapreso il cammino di preparazione al diaconato, con un percorso di studi presso l’Istituto superiore di scienze religiose, che ha richiesto di «oliare i meccanismi della memoria e dell’apprendimento».
Al suo fianco ha sempre avuto moglie e figli: «Questa continua riflessione, formazione e meditazione ha aggiunto alla normale dimensione umana di sposo e genitore anche una dimensione spirituale più improntata alla misericordia – spiega il futuro diacono -. Inoltre il periodo di formazione mi ha aiutato ad accorgermi che stavo trangugiando la vita senza gustarmela e senza farla gustare alle persone a cui volevo più bene».
Sia Gabriele sia Stefano sono convinti che l’ordinazione cambierà per sempre la loro vita, ma «confidare continuamente nel Signore porta quella pace nell’animo che incoraggia e rende possibile questo passo».
Intervista a don Giuseppe Como, Rettore per la Formazione al Diaconato Permanente: «Diaconato e famiglia, due realtà non conflittuali»
«Il diacono esiste essenzialmente per ricordare a tutti i battezzati che la vita e la missione della Chiesa si declinano sempre come servizio, non nella logica del dominio, dell’efficienza, dell’apparenza». Così don Giuseppe Como, dal 2012 rettore per la Formazione al Diaconato permanente, sintetizza la specificità di un ministero relativamente giovane, che oggi in Diocesi conta su 144 diaconi (compresi i due che verranno ordinati sabato), l’83% dei quali sono sposati. Per don Como, poi, «il diacono interpella anzitutto il ministero ordinato» e rappresenta una modalità originale di essere clero.
A tal proposito, quanto questo incarico ha arricchito il suo ministero?
Ritengo che questa responsabilità sia finora la più significativa per me dal punto di vista pastorale: mi permette di essere dentro il cammino diocesano, vivendolo da un punto di vista assolutamente particolare qual è quello di un ministero ancora nuovo e per ciò capace di interrogare questo stesso cammino in maniera forte e originale.
Siamo ancora in una fase di “inserimento” in Diocesi, oppure ormai questo ministero è ben consolidato?
È difficile parlare di un ministero ben consolidato, credo però che da solo il Diaconato non riesca a esprimere tutta la sua fecondità; è necessario che tutto il corpo ecclesiale maturi, dando spazio a ministerialità diverse e immaginando modalità diverse di annunciare il Vangelo e di vivere la carità, ma anche di prendere decisioni o di organizzare i tempi e i luoghi dell’azione pastorale.
L’anno prossimo si festeggeranno i trent’anni dell’istituzione di questo ministero in Diocesi: come la figura del diacono, la sua formazione e i suoi ambiti di servizio sono cambiati?
La formazione si è fatta più esigente dal punto di vista accademico e si è organizzata via via in maniera più nitida; gli ambiti di servizio rimangono quelli tradizionali (liturgia, Parola, carità), ma si è osato di più raggiungendo alcune frontiere dell’esercizio della carità (le carceri, per esempio) e si sta praticando in maniera interessante soprattutto la dimensione del Decanato.
Anche il Diaconato permanente ha subito un ulteriore impulso con papa Francesco che invita al servizio, allo stare sulla soglia, all’andare nelle periferie?
Il Santo Padre ci sta insegnando soprattutto uno “stile”, che in una parola definirei decisamente “anticlericale”.
I due diaconi che verranno ordinati sono sposati con figli: quanto l’essere marito e padre arricchisce il ministero?
L’esperienza coniugale e familiare “colora” senza dubbio il ministero diaconale, le due realtà non sono in conflitto; il matrimonio offre al Diaconato una caratteristica di concretezza, fedeltà e dedizione “feriale”, inoltre insegna a non amare mai in maniera generale e quindi astratta.
Altro evento cui state lavorando è il Convegno regionale di aprile a Cremona: ci può anticipare il tema su cui i diaconi saranno chiamati a riflettere?
Il Convegno dei diaconi lombardi si occuperà del senso della dimensione lavorativa dentro il ministero diaconale. Anche i diaconi risentono delle difficoltà che caratterizzano oggi il mondo del lavoro: la sfida è vedere queste difficoltà come opportunità. Il confronto e la conoscenza reciproca dei diaconi delle diocesi lombarde può sicuramente aiutare a conseguire una consapevolezza comune e più precisa su molti aspetti del ministero.
Interviste a cura di Ylenia Spinelli
pubblicate su Milano Sette di domenica 6 novembre 2016 e presenti nel sito della Diocesi.