Direttorio

DIRETTORIO PER IL DIACONATO

NELLA DIOCESI DI MILANO

 

 

Nota introduttiva
 La restituzione del Diaconato a Milano e gli interventi magisteriali recenti

Sono trascorsi quindici anni dalla approvazione del Direttorio diocesano per il Diaconato, il primo a godere di forma stabile, dopo quello approvato ad experimentum nel 1995. In questi anni si sono susseguite esperienze, riflessioni e indicazioni magisteriali che hanno fatto maturare la convinzione della necessità di una revisione del Direttorio stesso.

Le fonti magisteriali sono andate via via arricchendosi di contributi e precisazioni, che sono state recepite dal nostro contesto diocesano. Riferimento fondamentale resta il Concilio Vaticano II, che autorevolmente ripropose il Diaconato come «un grado proprio e permanente della gerarchia» (LG 29).

Nella Chiesa di Milano, il Diaconato nella forma del suo esercizio permanente, che è la sola cui si riferisce il presente documento, è stato ripristinato con Decreto Arcivescovile del Card. C.M. Martini il 17 settembre 1987.

La Conferenza Episcopale Italiana, anche alla luce delle molteplici e differenziate esperienze locali emerse da un seminario di studi, arrivò a pubblicare nel 1993 il documento I diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamenti e norme (= ON, 1 giugno 1993).

Nel 1995, la nostra diocesi portò a compimento la celebrazione del XLVII Sinodo. Per il Diaconato fu l’occasione per una ulteriore proposta di visibilità. Nelle sue pagine si legge: «L’esperienza del diaconato permanente […] si dimostra sempre più valida e nel contempo bisognosa di un ulteriore cammino per imparare a comprendere e integrare praticamente questo ministero nel tessuto pastorale e comunitario della diocesi».

In data 22 febbraio 1998, la Congregazione per l’Educazione Cattolica e la Congregazione per il Clero pubblicarono rispettivamente le Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti (= NF) e il Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti (= DM). Questi autorevoli pronunciamenti trovarono ampia risonanza nella redazione del nostro Direttorio e restano tuttora imprescindibili riferimenti per il Diaconato ambrosiano.

Nel 2002 la Commissione Teologica Internazionale ha dedicato al Diaconato un’articolata riflessione nella quale vengono presentati l’evoluzione storica del ministero diaconale fino al Vaticano II e i temi teologici più rilevanti che lo riguardano oggi, a cominciare dalla questione della sacramentalità.

Il 26 ottobre 2009, papa Benedetto XVI, con il Motu proprio Omnium in mentem, recepiva nel Codice di Diritto Canonico una precisazione già apportata nella redazione finale del Catechismo della Chiesa Cattolica, riscrivendo i canoni 1008 e 1009 CIC, in cui si afferma che coloro che sono costituiti vescovi e presbiteri «ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo», mentre i diaconi «vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità».  

 

Il profilo teologico e spirituale del Diaconato

Nei citati documenti delle Congregazioni romane, il Diaconato viene così delineato nelle sue caratteristiche teologiche e spirituali:

Innanzitutto bisogna considerare il diaconato, come ogni altra identità cristiana, all’interno della Chiesa, intesa come mistero di comunione trinitaria in tensione missionaria. È questo un riferimento necessario nella definizione dell’identità di ogni ministro ordinato, anche se non prioritario, in quanto la sua verità piena consiste nell’essere una partecipazione specifica ed una ripresentazione del ministero di Cristo. È per questo che il diacono riceve l’imposizione delle mani ed è sostenuto da una specifica grazia sacramentale che lo innesta nel sacramento dell’ordine.   Il diaconato viene conferito mediante una speciale effusione dello Spirito (ordinazione), che realizza in chi la riceve una specifica conformazione a Cristo, Signore e servo di tutti. Nella Lumen gentium, n. 29, si precisa, citando un testo delle Constitutiones Ecclesiae Aegyptiacae, che l’imposizione delle mani al diacono non è «ad sacerdotium sed ad ministerium», cioè, non per la celebrazione eucaristica, ma per il servizio. Questa indicazione, insieme al monito di san Policarpo, pure ripreso dalla Lumen gentium, n. 29, delinea l’identità teologica specifica del diacono: egli, come partecipazione dell’unico ministero ecclesiastico, è nella Chiesa segno sacramentale specifico di Cristo servo. Suo compito è di essere «interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane» e «animatore del servizio, ossia della diakonia», che è parte essenziale della missione della Chiesa.   […]   In quanto grado dell’ordine sacro, il diaconato imprime il carattere e comunica una grazia sacramentale specifica. Il carattere diaconale è il segno configurativo-distintivo impresso indelebilmente nell’anima che configura chi è ordinato a Cristo, il quale si è fatto diacono, cioè servo di tutti. Esso porta con sé una specifica grazia sacramentale, che è forza, vigor specialis, dono per vivere la nuova realtà operata dal sacramento. «Quanto ai diaconi, la grazia sacramentale dà loro la forza necessaria per servire il Popolo di Dio nella diaconia della Liturgia, della Parola e della carità, in comunione con il Vescovo ed il suo presbiterio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1588). Come in tutti i sacramenti che imprimono il carattere, la grazia ha una virtualità permanente. Fiorisce e rifiorisce nella misura in cui è accolta e riaccolta nella fede. Nell’esercizio della loro potestà, i diaconi, essendo partecipi ad un grado inferiore del ministero ecclesiastico, dipendono necessariamente dai Vescovi, che hanno la pienezza del sacramento dell’ordine. Inoltre, essi sono posti in una speciale relazione con i presbiteri, in comunione con i quali sono chiamati a servire il popolo di Dio. (Cf Congregazione per l’Educazione Cattolica, Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti , 4-5.7-8)

Posta quindi la sacramentalità del Diaconato, la sua fondazione, anche se non la sua diretta “istituzione”, è in Cristo, al quale il diacono è configurato non specificamente nel suo essere “capo” bensì nel suo essere “servo” (non ad sacerdotium – cioè non per la presidenza dell’Eucaristia – sed ad ministerium), naturalmente non in maniera esclusiva. Nella prospettiva di una “ecclesiologia di comunione” e di una Chiesa pluriministeriale fondata sul “sacerdozio comune” di tutti i fedeli a partire dal battesimo, il diacono come ministro ordinato, e quindi posto come custode e testimone della fede apostolica, sarà colui che fa incessantemente memoria della vocazione al servizio che riguarda ogni membro del corpo ecclesiale.

In una comprensione teologica del ministero ordinato inteso come gerarchia, il Diaconato costituisce il grado “inferiore”, secondo la dottrina dei diversi “gradi” dell’ordine, ma questa prospettiva non esclude che il Diaconato possa essere ricondotto direttamente al ministero episcopale, dal quale “dipende” dentro il contesto di una Chiesa locale, ferma restando la “speciale relazione” nella quale i diaconi sono costituiti nei confronti dei presbiteri, in “comunione” con i quali servono il popolo di Dio.

«Consacrati e mandati al servizio della comunione ecclesiale» (CEI, I diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamenti e norme, 7, i diaconi custodiscono e testimoniano «la disponibilità della chiesa, sia nella sua pastorale ordinaria sia nella sua missione ad gentes, a vivere la dimensione missionaria» (Orientamenti e norme, 8)  propria del popolo di Dio nella storia. Per questo motivo, «il senso del diaconato e il suo esercizio devono essere visti in relazione a una chiesa che cresce nella consapevolezza di essere chiesa missionaria, impegnata in cammini pastorali che, lungi dal ridursi a un’opera di semplice conservazione, si aprono coraggiosamente alle sempre nuove sollecitazioni dello Spirito»(Orientamenti e norme, 9) .

Dall’identità teologica del diacono, scaturiscono con chiarezza i lineamenti della sua specifica spiritualità, che si presenta essenzialmente come spiritualità del servizio. Il modello per eccellenza è il Cristo servo, vissuto totalmente al servizio di Dio, per il bene degli uomini. […]    La spiritualità del servizio è una spiritualità di tutta la Chiesa, in quanto tutta la Chiesa, ad immagine di Maria, è la «serva del Signore» (Lc 1, 28), a servizio della salvezza del mondo. Proprio perché tutta la Chiesa possa meglio vivere questa spiritualità di servizio, il Signore le dona un segno vivente e personale del suo stesso essere servo. Perciò, in modo specifico, essa è la spiritualità del diacono. Egli, infatti, con la sacra ordinazione, è costituito nella Chiesa icona vivente di Cristo servo. Il Leitmotiv della sua vita spirituale sarà dunque il servizio; la sua santità consisterà nel farsi servitore generoso e fedele di Dio e degli uomini, specie dei più poveri e sofferenti; il suo impegno ascetico sarà volto ad acquisire quelle virtù che sono richieste dall’esercizio del suo ministero. Ovviamente tale spiritualità dovrà integrarsi armonicamente di volta in volta con la spiritualità legata allo stato di vita. […] (Cf Congregazione per l’Educazione Cattolica, Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti , 11-12)

Fonte primaria del progresso nella vita spirituale è senza dubbio l’adempimento fedele e instancabile del ministero in un motivato e sempre perseguito contesto di unità di vita. Questo, esemplarmente adempiuto, non solo non ostacola la vita spirituale, ma favorisce le virtù teologali, accresce la propria volontà di donazione e servizio ai fratelli e promuove la comunione gerarchica. Opportunamente adattato, vale anche per i diaconi quanto affermato per i presbiteri: «sono ordinati alla perfezione della vita in forza delle stesse azioni sacre che svolgono quotidianamente, come anche di tutto il loro ministero… ma la stessa santità… a sua volta, contribuisce non poco al compimento efficace del loro ministero» (Presbyterorum Ordinis 12). (Cf Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti , 51)

La spiritualità del diacono cresce nel “circolo virtuoso” che si realizza tra ministero vissuto e preghiera, in un contesto di unità di vita tra legami famigliari, impegno professionale, servizio pastorale e vita contemplativa, cercando senza sosta in docilità allo Spirito una “integrazione armonica” del ministero con lo stato di vita che hanno abbracciato. In particolare, il crisma del servizio che il diacono riceve nell’ordinazione è destinato a penetrare progressivamente ogni suo gesto e ogni pensiero, brillando soprattutto nella sua dedizione all’umanità sofferente e ai molteplici bisogni che sarà capace di intuire e di avvicinare non in forma esclusivamente personale ma suscitando insieme l’attitudine di altri e dell’intera comunità cristiana a “farsi prossimo” sull’esempio di Gesù che è venuto per servire.

In virtù della “flessibilità” del loro ministero, attento alla diversità delle persone e delle necessità della Chiesa in quel luogo in cui sono stati inviati, i diaconi «vivono e realizzano la loro missione in modalità che variano secondo il contesto storico concreto entro cui essa si svolge», ritrovando sempre «la loro norma permanente e la loro identità fondamentale nella fedeltà al Vangelo» (Orientamenti e norme, 7).

L’esperienza diaconale avviata nella nostra Chiesa

La fatica incontrata da chi ha promosso gli inizi del ministero diaconale rispecchia quella più generale di ripensare in questi anni il volto e l’azione della Chiesa secondo le indicazioni dello Spirito del Signore. L’aggiornamento pastorale avviato, assolutamente necessario e quanto mai delicato, ha nella rinascita del Diaconato un suo elemento non secondario e vi può riconoscere un reale punto di forza.

A mano a mano che alcune persone, sostenute dalla sensibilità di alcuni presbiteri e delle rispettive comunità si rendevano disponibili a raccogliere l’appello di questa novità ministeriale, è andata diffondendosi in molti settori della nostra Chiesa la stima per questo dono ed è migliorata la qualità della sua accoglienza.

Le valutazioni iniziali che, vincolate all’immagine dominante del ministero presbiterale, inclinavano a concludere che quello diaconale è al confronto un ministero ibrido e incompiuto, sono state integrate da più ampi punti di vista. Rimane ancora molto da riflettere riguardo all’identità del diacono, e molto deve ancora lievitare nella coscienza e nella prassi ecclesiale perché la sua figura abbia il riscontro di una unanime e costante plausibilità. Ciò che in questi anni è maturato e le prospettive di sviluppo per il futuro possono essere tuttavia apprezzati sotto molteplici aspetti.

Il Diaconato ha introdotto anche nella nostra Chiesa una modalità diversa di essere clero e continua ad essere uno degli stimoli più interessanti al ripensamento del ministero ordinato e in particolare del ministero presbiterale: «la possibilità della istituzione del Diaconato come forma permanente di partecipazione al sacramento dell’ordine contribuisce o costringe a ripensare la configurazione concreta del clero, in particolare del presbiterato che in epoca moderna sembra aver raccolto tutta l’attenzione, con il ruolo di protagonista dell’esercizio del ministero» (M. Delpini, Un futuro ancora tutto da scrivere, in “Fiaccola” 2013). Superando l’idea di una mera dipendenza dai presbiteri come pure quella di una supplenza nei loro confronti, il Diaconato appare concretamente come un invito a riscoprire e a realizzare la natura e l’esercizio “comunionali” del ministero: in questa prospettiva, i diaconi percepiscono la propria vocazione come servizio all’unità e come effettivo contributo all’esperienza di riconciliazione nei rapporti tra il clero dove si trova ad operare.

Al tempo stesso, l’introduzione del Diaconato uxorato contribuisce al ripensamento della vocazione matrimoniale e della vita familiare: la compresenza nella stessa persona dei sacramenti dell’ordine e del matrimonio costituisce una «possibilità di ripensare e approfondire una specifica spiritualità di coppia. […] Ne dovrebbe emergere qualche linea per comprendere in che senso l’ordinazione diaconale è una grazia anche per la coppia e per la famiglia» (M. Delpini, Un futuro ancora tutto da scrivere). L’amore vissuto nel matrimonio è già una forma della diaconia ecclesiale e l’amore per la moglie assume tratti di esemplarità per l’amore alla comunità, in termini di singolarità, dedicazione, delicatezza, fedeltà. La vocazione al ministero ordinato non si aggiunge semplicemente alla chiamata alla vita matrimoniale, ma chiede una vera ridefinizione di identità, una ristrutturazione profonda, un assetto nuovo della situazione famigliare.

Il Diaconato si configura come “seconda vocazione” o “vocazione adulta” di persone che hanno già definito il loro stato di vita (sposati, celibi) a prescindere dall’orientamento al Diaconato: questo comporta da una parte una forte provocazione «a superare schematismi troppo antichi e troppo rigidi (ministero ordinato/matrimonio, clero/laici, Chiesa/mondo, attrattiva/apostolato)» (M. Delpini, Un futuro ancora tutto da scrivere), dall’altra chiede ai formatori attenzione al “primo discernimento” e ai responsabili diocesani cura nella determinazione della destinazione pastorale, nell’ambito di una “mobilità sostenibile”.

Il ministero diaconale si è rivelato strumento prezioso per la valorizzazione del “quotidiano” come dimensione spirituale e per l’evangelizzazione dei contesti ordinari, “secolari”, di vita, nei quali i diaconi sono inseriti con uno stile di vita evangelicamente riconoscibile e con la consapevolezza di “rappresentare” la Chiesa ad un titolo tutto particolare, custodendo il volto autentico della Chiesa stessa in questi luoghi. Presentando l’iniziativa pastorale Il campo è il mondo al clero diocesano, l’Arcivescovo Angelo Scola affermava:

Se guardiamo alla forte evoluzione in atto nella nostra società lombarda, sullo sfondo dei mutamenti che stanno interessando tutto il paese e l’Europa, dobbiamo riconoscere che lo Spirito ci sta provocando ad una più decisa comunicazione di Gesù Cristo come Evangelo dell’umano. […].   Il mondo va concepito dinamicamente come luogo della vita delle persone e dell’esprimersi delle loro relazioni. In questo senso, esso è costituito da tutti gli ambienti dell’esistenza quotidiana degli uomini e delle donne: famiglie, quartieri, scuole, università, lavoro in tutte le sue forme, modalità di riposo e di festa, luoghi di sofferenza, di fragilità, di emarginazione, ambiti di edificazione culturale, economica e politica. In sintesi, il mondo è la società civile in tutte le sue manifestazioni.

Se la Chiesa di Milano è stata invitata dal suo Arcivescovo a individuare “strade da percorrere per andare incontro agli uomini” in tutti questi ambienti della loro esistenza quotidiana, i diaconi come ministri ordinati in questi ambienti sono già presenti, percorrendo strade che normalmente al presbitero o al vescovo sono precluse. In questa prospettiva, continuano ad interrogare la coscienza missionaria dei diaconi permanenti immagini e suggestioni come quelle della “soglia” o del “confine”: è lì, dove la Chiesa interfaccia con il mondo, dove la Chiesa è in “uscita”, dove essa è costretta ad abbandonare ogni autoreferenzialità, che il Diaconato trova la sua strada, nel coraggio dei rapporti personali, nel suo essere ministero particolarmente vicino ai poveri e a coloro che pongono domande alla fede.

Il diaconato permanente nella nostra diocesi ha percorso fino a questo momento un cammino ancora breve, ma già ricco di storia e di cambiamenti. Di pari passo con una migliore comprensione del suo profilo ecclesiale, è cresciuta e si è precisata la cura per la formazione, si sono assestati tempi e modalità più certe dei percorsi di istruzione, dell’educazione alla vita secondo lo Spirito, dell’introduzione nelle linee della pastorale diocesana; si è raggiunta una migliore preparazione teologica e culturale. Ognuno di coloro che hanno preso parte al cammino del diaconato permanente in diocesi ha portato la propria sapienza e coloro che sono venuti dopo hanno raccolto i frutti della semina di coloro che li hanno preceduti. Il cammino prosegue nella certezza che questo ministero si comprende e cresce nel suo esercizio: «l’identità di una figura ministeriale non è la deduzione rigorosa di un principio, ma si configura entro una circolarità di esperienza – riflessione – confronto – discernimento – decisione»; è «la pratica vissuta del ministero» che «contribuisce a costruire l’identità del diacono e del diaconato per questo tempo» (M. Delpini, Un futuro ancora tutto da scrivere).

Entro il quadro di una Chiesa sempre più chiamata a valorizzare una ministerialità diffusa, il diaconato permanente non smetterà di essere fedele a quelle caratteristiche che gli sono state additate dal vescovo che lo ha ristabilito in diocesi, il cardinale Carlo Maria Martini: l’essere segno mirabile della gratuità della Chiesa e del ministero, l’essere presenza sacramentale della Chiesa in mezzo al popolo, l’essere un servizio perpetuo, che dura tutto il tempo della vita, senza tornare indietro.

Direttorio

I.
Le competenze diocesane e gli organismi per la promozione,
il discernimento e la formazione dei diaconi

 

 A.   L’Arcivescovo

1. L’Arcivescovo è il primo responsabile del ministero diaconale nella propria diocesi. Egli ne promuove direttamente e con gli strumenti del suo governo pastorale la vita, la formazione e il discernimento in relazione con il cammino complessivo di tutta la Chiesa. La sua responsabilità personale si esprime per ciascuno nell’accettazione delle domande in occasione degli scrutini previsti e dei ministeri istituiti (lettorato e accolitato), nell’occasione della celebrazione liturgica del rito di ammissione tra i candidati e, in modo particolare, nell’imposizione delle mani per il ministero.

Essa inoltre viene esercitata attraverso le molteplici collaborazioni delle persone e degli organismi a cui egli affida i propri orientamenti su questo ministero.

In qualche significativa circostanza e ogni qualvolta se ne constati l’opportunità egli si renderà personalmente presente nell’itinerario di formazione, anche nella forma di incontri per la conoscenza diretta dei singoli candidati.

Coloro che sono preposti al discernimento e alla formazione verificano sistematicamente con lui l’impostazione e l’andamento di questa esperienza e ne ricevono puntuali indicazioni.

B.   Il Responsabile

2.  L’Arcivescovo affida a un sacerdote il ruolo di Responsabile con il compito di promuovere e coordinare tutto quanto concerne il discernimento e la formazione per il ministero diaconale. In questa figura, che può coincidere con quella del Vicario episcopale per la Formazione permanente del Clero, si esprime l’unità di indirizzo delle scelte diocesane a favore delle vocazioni al ministero ordinato e della loro formazione. In questa prospettiva, si comprende il particolare legame educativo che tradizionalmente esiste tra la formazione al diaconato permanente e la formazione dei seminaristi diocesani, in virtù del quale fin dall’inizio sono stati anche affidati alla cura del Seminario Arcivescovile gli aspetti economico-istituzionali che fanno da supporto all’autonoma attività formativa per il Diaconato.

Il Responsabile svolge il suo compito nel diretto confronto con l’Arcivescovo, presiedendo il Consiglio per il Diaconato, ascoltando i soggetti implicati nell’esperienza del Diaconato, in particolare il Rettore per la formazione e la sua Équipe, riferendo al Consiglio Episcopale milanese le questioni relative al configurarsi del ministero ordinato, informando autorevolmente gli organismi diocesani di partecipazione (Consiglio presbiterale, Consiglio pastorale diocesano, ecc.) su quanto si attua in questo ambito, mantenendo i necessari collegamenti con l’esperienza che va maturando in questi settori nei cammini della Chiesa italiana.

C.   Il Rettore e l’Équipe

3. Il Rettore per la formazione, nominato dall’Arcivescovo, ha l’incarico di accompagnare personalmente gli aspiranti e i candidati al ministero diaconale, assicurando nel miglior modo possibile tutto ciò che è utile al loro cammino di discernimento e di formazione. Spetta a lui il compito di «coordinare le varie persone impegnate nella formazione, di presiedere e animare tutta l’opera educativa nelle sue varie dimensioni, e di tenere i contatti con le famiglie degli Aspiranti e dei Candidati coniugati e con le loro comunità di provenienza» (Norme fondamentali, 21).

A lui vanno presentate le candidature. Sarà sua cura affidare ai membri competenti dell’Équipe per la formazione l’incarico per i primi colloqui di orientamento.

4. Nel suo compito, il Rettore per la formazione sarà coadiuvato da una Équipe per la formazione, costituita da coloro che a diverso titolo e con apporti convergenti mediano il progetto formativo e ne valutano l’attuazione con i singoli aspiranti e candidati.

La composizione dell’Équipe, nominata dall’Arcivescovo, viene così indicata: il Rettore per la formazione, il Responsabile degli studi, gli Assistenti per il primo contatto e orientamento e gli Accompagnatori. I diversi incaricati, scelti tra presbiteri e diaconi di provata esperienza, coadiuvano il Rettore nella sua opera per un fruttuoso cammino personale di ciascun aspirante e candidato. Essi cooperano con lui alla programmazione delle diverse attività formative e alla formulazione del giudizio di idoneità.

Ai membri dell’Équipe, a seconda dei suggerimenti offerti dalla pratica formativa e riconosciuti dal Consiglio per il Diaconato, possono essere affiancati consulenti e collaboratori per le competenze (teologiche, pastorali e delle scienze umane) che possono rendersi opportune per la buona riuscita della formazione. Una di queste figure è il Coordinatore dei Direttori Spirituali, con il compito di affiancare il Rettore per la formazione nell’accompagnamento dei direttori spirituali dei candidati e degli aspiranti e, qualora sia necessario, di suggerire a questi ultimi il nominativo di un presbitero o di altra persona che possa assumere la funzione di direttore spirituale. I consulenti, i collaboratori e il Coordinatore dei Direttori Spirituali non sono membri dell’Équipe e sono nominati dal Rettore per la formazione.

La durata in carica del Rettore e dell’Équipe per la formazione è di cinque anni. In caso di nomina di un nuovo Rettore per la formazione nel corso del mandato dell’Équipe, l’Arcivescovo può ritenere opportuno rinnovare anche alcuni o tutti gli altri membri dell’Équipe.

5. Il Rettore per la formazione interpreta in modo sintetico e con responsabilità propria dinanzi alla Chiesa le valutazioni dell’Équipe e di tutti coloro che hanno accompagnato gli aspiranti e i candidati. Egli conduce personalmente il discernimento con i singoli interessati e ne formula i risultati in occasione dei passaggi previsti nell’itinerario formativo e per l’ammissione ai ministeri istituiti e all’Ordinazione.

Un’apposita riunione dell’Équipe, presieduta dal Responsabile, su proposta e documentazione del Rettore per la formazione, procederà ad approvare ciascun aspirante e candidato per il rito liturgico di Ammissione e per l’istituzione nei ministeri.

Per l’Ammissione e per la promozione all’ordine del Diaconato si seguirà la procedura prevista dal regolamento della Commissione Arcivescovile De promovendis ad Ordines. Questa Commissione, sulla base del profilo di presentazione dei candidati curato da chi ne ha seguito la formazione, offre indicazioni all’Arcivescovo per il suo ultimo discernimento, raccogliendo informazioni anche presso le rispettive comunità di provenienza.

6. L’Équipe provvede a raccogliere ed elaborare dati, domande, progetti da sottoporre all’esame del Consiglio per il Diaconato sotto forma di relazione annuale.

 D. Il Consiglio per il Diaconato

7. Il Consiglio per il Diaconato è l’organismo diocesano che promuove e verifica l’esperienza del Diaconato nei suoi diversi aspetti e nel suo raccordo con le direttive pastorali diocesane. Lo nomina l’Arcivescovo ed è presieduto dal Responsabile. Il suo mandato ha durata quinquennale.

Ne fanno parte il Rettore per la formazione, il Responsabile degli studi, un rappresentante indicato da ciascuno dei seguenti gruppi o organismi e appartenente agli stessi: Consiglio Episcopale Milanese, Consiglio Presbiterale, Consiglio Pastorale Diocesano, Assemblea dei Decani, tre diaconi designati dall’Assemblea dei Diaconi della diocesi e una rappresentante indicata dalle mogli dei diaconi.

Il Consiglio può avvalersi di volta in volta di alcune persone e competenze che reputa necessarie al migliore svolgimento dei propri compiti; tra queste, in particolare, il Responsabile può invitare il Coordinatore dei Direttori Spirituali.

In caso di sostituzione di un membro il subentrante resterà in carica fino alla fine del mandato dell’intero Consiglio.

8. I compiti del Consiglio per il Diaconato sono i seguenti:

—    individuare iniziative e strumenti per sensibilizzare la comunità diocesana alla comprensione, alla promozione e alla valorizzazione del ministero diaconale,

—    svolgere un monitoraggio circa la fisionomia pastorale e spirituale che il Diaconato può assumere in presenza degli stimoli più innovativi del  cammino diocesano,

—    interpretare le indicazioni di esperienza che vengono illustrate periodicamente dall’Équipe di formazione, anche a partire da alcuni casi significativi, aiutandone il discernimento e suggerendo piste di adeguamento alle istanze più manifeste,

—    elaborare qualche precisa strategia da suggerire agli organismi competenti per consolidare o migliorare scelte riguardanti aspetti non secondari del radicarsi e del dispiegarsi del ministero e della vita dei diaconi nei contesti pastorali diocesani.

Ogni anno, il Rettore per la formazione presenta al Consiglio per il Diaconato la relazione sullo stato del Diaconato in diocesi e in particolare sulla formazione, e inoltre il bilancio consuntivo annuale e il bilancio preventivo per l’anno successivo.


 

 II.
Discernimento e Formazione

 

A.   La promozione delle vocazioni al Diaconato: orientamenti

9. La promozione delle vocazioni al Diaconato si ispira ai seguenti criteri:

– L’attenzione a integrare nella prassi pastorale il concetto di vocazione come desiderio soggettivo e discernimento personale in ordine al ministero con l’autorevolezza propositiva della comunità cristiana, che individua nelle persone le qualità che le rendono idonee ad esercitare, nella retta intenzione e con i doni ricevuti, i compiti del ministero stesso.

– L’orientamento a non affidare al moltiplicarsi di proclami l’incremento delle risposte vocazionali, preferendo assecondare con lucidità teologica e con coraggio spirituale e pastorale esempi di discernimento nel campo ecclesiale di figure concrete, ben riconoscibili nel loro servizio e persuasive per la loro testimonianza di vita.

– Quanto detto non esclude, anzi incoraggia l’impegno della Chiesa di Milano, e in particolare dei ministri ordinati, a far conoscere la figura del ministero diaconale e a promuoverne un’adeguata accoglienza, secondo le indicazioni offerte dalla cost. 514 del Sinodo diocesano XLVII.

 

Tratti essenziali di una figura diaconale

10. Il ministero del diacono, così come si è venuto configurando in questi ultimi decenni nelle diverse realtà pastorali della nostra Chiesa milanese, chiede che venga dedicata grande attenzione al discernimento delle qualità personali dei candidati e della loro vita spirituale, cioè la loro fede, la loro preghiera, il loro giudizio sul mondo, la loro capacità di vedere lo Spirito all’opera nel mondo, il loro sensus ecclesiae e il loro sentire cum ecclesia, la loro capacità di comunione, il loro slancio nella missione.

11. Più precisamente, questi sono i tratti a partire dai quali esercitare il discernimento.

  • Cammino personale di fede. Il diacono non è un semplice volontario, abile nell’organizzare: il terreno normale in cui sorge e si sviluppa una chiamata al Diaconato è una esperienza di fede sufficientemente radicata e vissuta, a partire dalla quale il diacono sarà colui che aiuta la comunità a riconoscere nello stile di libera sottomissione filiale di Gesù al Padre il miglior compimento e lo sviluppo più profondo del nostro essere uomini. Il diacono è colui che aiuta tutta la Chiesa a riconoscere l’originale impronta diaconale che Gesù ha dato al nostro essere uomini. La preghiera intensa e quotidiana, la vita liturgica e sacramentale, l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio sono una componente fondamentale della chiamata al Diaconato.
  • Armoniosità globale della persona. La chiamata al Diaconato esige come base su cui innestarsi una personalità che mostri i tratti di una forte generosità e attenzione all’altro, inseriti però all’interno di un quadro di maturità globale del soggetto, in virtù della quale egli desidera servire il prossimo ma sa anche vedere i limiti delle proprie possibilità di servire e soprattutto sa riconoscere che la sorgente e il compimento di questo servizio non dipendono dalla sua volontà, né si esauriscono nel suo agire.
  • Sana passione per la Chiesa. Il Diaconato è un ministero, ovvero una vocazione al servizio del corpo della Chiesa, del suo bene. Chi è chiamato al Diaconato deve manifestare una sana passione per la Chiesa, nel suo volto quotidiano e domestico (la comunità parrocchiale) come in quello più ampio e meno conosciuto (la Chiesa nella sua forma cattolica). È chiamato al Diaconato un soggetto che è capace di intuire ed anticipare i bisogni della propria comunità e insieme chi sa aprire la vita della propria comunità al respiro della cattolicità ecclesiale. Il corpo Diaconale accoglie come un dono dello Spirito le vocazioni maturate grazie a cammini e percorsi vissuti dentro particolari realtà ecclesiali (ordini e istituti religiosi, associazioni e movimenti ecclesiali), ma chiede che dallo stesso Spirito queste vocazioni imparino la capacità di aprire la loro ricchezza al respiro della cattolicità della Chiesa, accogliendo con disponibilità la storia e la ricchezza rappresentate e vissute all’interno della realtà diocesana.
  • Predilezione per i poveri e gli esclusi. Il diacono ha come tratto distintivo della sua figura il servizio, e, più profondamente ancora, la carità. È dunque segno vocazionale l’attitudine del futuro candidato a farsi prossimo in modo particolare a chi è nel bisogno, a coloro che sono ultimi nella nostra società, vivendo tale attitudine in prima persona ma insieme stimolando la comunità ecclesiale ad assumerla e potenziarla.
  • Stile sobrio di vita. Segno di una vocazione al Diaconato è l’essere riusciti ad impostare, nelle scelte di fondo che sono state già compiute, uno stile di vita globalmente sobrio ed equilibrato, che sa raccogliere la stima e l’apprezzamento della comunità. Dai coniugati ci si attende che la vita famigliare sia luogo di testimonianza dei valori cristiani, che la moglie condivida cordialmente questa scelta del marito. Dai celibi ci si attende che la loro condizione sia una reale scelta di vita, assunta come una forma di testimonianza del primato del Regno di Dio, e non semplicemente il risultato di un cammino di maturazione non ancora giunto a termine. È giusto attendersi che non facciano parte dello stile di vita del futuro candidato forme di ostentazione della propria ricchezza o del proprio prestigio, volontà di potere e di dominio sugli altri, tratti di narcisismo e di cercata occupazione della scena con la propria personalità. Al contrario ci si può attendere che lo stile di vita di chi è chiamato al Diaconato faciliti la relazione con gli altri, sappia creare legami tra le persone, sia fattore di riconciliazione e di comunione.
  • Disponibilità ad imparare. Ai candidanti al Diaconato viene proposto un cammino di formazione esigente, che chiede loro di intraprendere percorsi di maturazione a livello umano, spirituale, intellettuale, pastorale. È necessario perciò che chi è chiamato al Diaconato mostri una chiara disponibilità alla formazione, superando forme di impigrito ripiegamento su di sé o di irrigidimento ideologico, imparando a sviluppare un discernimento non superficiale del presente; che abbia il desiderio di acquisire una competenza teologica che risulterà essenziale per il ministero pastorale che gli sarà richiesto.
  • Testimoni della grazia che guarisce e salva. I tratti descritti vanno assunti secondo una prospettiva dinamica: non sono traguardi che il soggetto deve aver già raggiunto quanto piuttosto spazi di crescita dentro i quali mostrare come sta lavorando, come sta operando per raggiungere le sue soglie di maturazione, testimoniando come la grazia di Dio sia all’opera nella nostra vita quotidiana, come grazia che ci guarisce e ci salva.

  

B.   Requisiti per una autentica vocazione

12. I documenti della Chiesa hanno dedicato molta attenzione ai requisiti personali, segni di autenticità vocazionale, a partire dai quali possono procedere persuasivamente sia la presentazione di candidature al Diaconato sia la formazione nel cammino.

La descrizione dei requisiti personali fa tesoro dell’antica tradizione della Chiesa e tiene conto delle attuali necessità pastorali. Alcuni sono di carattere generale, e valgono indistintamente per i ministeri ordinati in quanto tali, altri corrispondono più specificamente al ministero diaconale e allo stato di vita dei chiamati.

Sono del primo tipo quelli che il Codice di Diritto Canonico descrive in questo modo: «Siano promossi agli ordini soltanto quelli che… hanno fede integra, sono mossi da retta intenzione, posseggono la scienza debita, godono buona stima, sono di integri costumi e di provate virtù e sono dotati di tutte quelle altre qualità fisiche e psichiche congruenti con l’ordine che deve essere ricevuto» (can. 1029).

Sono del secondo tipo quelli che le Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti descrivono ai numeri dal 32 al 39. Ne riportiamo integralmente alcuni:

L’inserimento in una comunità cristiana

Inoltre, i candidati al diaconato devono essere vitalmente inseriti in una comunità cristiana e aver già esercitato con lodevole impegno le opere di apostolato.

L’attività lavorativa o professionale

Essi possono provenire da tutti gli ambiti sociali ed esercitare qualsiasi attività lavorativa o professionale purché essa non sia, secondo le norme della Chiesa e il prudente giudizio del vescovo, sconveniente con lo stato diaconale. Inoltre, tale attività deve essere praticamente conciliabile con gli impegni di formazione e l’effettivo esercizio del ministero.

L’età minima

Quanto all’età minima il Codice di diritto canonico stabilisce che «il candidato al diaconato permanente, che non è sposato, non vi sia ammesso se non dopo aver compiuto almeno i 25 anni di età; colui che è sposato, se non dopo aver compiuto i 35 anni di età».

             I candidati, infine, devono essere liberi da irregolarità e impedimenti.

Requisiti rispondenti allo stato di vita dei candidati

a) Celibi

Il “cuore indiviso”

«Per legge della Chiesa, confermata dallo stesso concilio ecumenico, coloro che da giovani sono chiamati al diaconato sono obbligati ad osservare la legge del celibato». È questa una legge particolarmente conveniente per il sacro ministero, cui liberamente si sottopongono coloro che ne hanno ricevuto il carisma.

Il diaconato permanente vissuto nel celibato dà al ministero alcune singolari accentuazioni. L’identificazione sacramentale con Cristo infatti viene collocata nel contesto del cuore indiviso, cioè di una scelta sponsale, esclusiva, perenne e totale dell’unico e sommo Amore; il servizio alla Chiesa può contare su di una piena disponibilità: l’annuncio del Regno è suffragato dalla testimonianza coraggiosa di chi per quel Regno ha lasciato anche i beni più cari.

b) Sposati

Positiva esperienza familiare

«Quando si tratti di uomini coniugati, occorre fare attenzione a che siano promossi al diaconato quanti, già da molti anni vivendo nel matrimonio, abbiano dimostrato di saper dirigere la propria casa ed abbiano moglie e figli che conducano una vita veramente cristiana e si distinguano per l’onesta reputazione».

Consenso e qualità della moglie

Non solo. Oltre alla stabilità della vita familiare, i candidati sposati non possono essere ammessi «se prima non consti non soltanto del consenso della moglie, ma anche della sua cristiana probità e della presenza in lei di naturali qualità che non siano di impedimento né di disdoro per il ministero del marito».

c) Vedovi

Solidità umana e spirituale

«Ricevuta l’ordinazione, i diaconi, anche quelli promossi in età matura, sono inabili a contrarre matrimonio in virtù della tradizionale disciplina ecclesiastica». Lo stesso principio vale per i diaconi rimasti vedovi. Essi sono chiamati a dare prova di solidità umana e spirituale nella loro condizione di vita. Inoltre, condizione perché i candidati vedovi possano essere accolti è che essi abbiano già provveduto o dimostrino di essere in grado di provvedere adeguatamente alla cura umana e cristiana dei loro figli.

 

  1. In applicazione dell’indicazione fornita dalla Chiesa italiana (Orientamenti e norme, 17), nella Chiesa di Milano l’età massima per l’inizio del cammino di formazione comunitaria al Diaconato (seconda fase) è stabilita in anni 55.

Nel medesimo momento è richiesto altresì il superamento dell’esame conclusivo del ciclo di scuola secondaria superiore (esame di maturità).

Non possono invece essere ammessi al discernimento per il Diaconato (prima fase) i soggetti coniugati prima del compimento del quinto anno di matrimonio.

 C.   Discernimento e formazione. “Primato” dello spirituale e responsabilità del soggetto

14. Lo svolgimento della formazione, attraverso i cammini predisposti dalla cura pastorale della Chiesa, da una parte presuppone almeno un iniziale discernimento, che consente di accedervi fruttuosamente, dall’altra rivela passo dopo passo i segni che dischiudono una più profonda conoscenza dell’agire di Dio nella vita del discepolo. Discernimento e formazione non stanno fra loro separati, anche se di volta in volta domandano attenzioni ed esercizi specifici. L’armonia del cammino che si percorre dipende dalla buona circolarità che si instaura dall’uno all’altra. La crescita cristiana ha qui una delle sue modalità fondamentali.

15. Nel cammino formativo, dunque, si persegue la maturazione dell’autentico vissuto spirituale di un uomo che, proprio in quanto “uomo secondo lo Spirito” intende assumere responsabilmente la forma ministeriale del diaconato. L’opera dello Spirito, dispiegandosi discretamente nella vita familiare-domestica, nell’esercizio della professione, nella proposta e nell’impegno scolastici, negli atti consueti dell’ascolto della Parola e della celebrazione, nelle relazioni fraterne, nell’assunzione di responsabilità ecclesiali, viene a plasmare l’esperienza cristiana. La persona, nei suoi molteplici aspetti, ritrova se stessa in quella verità di Gesù Cristo che nulla censura dell’umanità concreta di ciascuno, ma tutto trasfigura secondo il Vangelo. Il consolidarsi della persona nella pace e nella gioia, nella bontà e nell’ordine virtuoso segnala il concreto e paziente consentire all’agire dello Spirito che conforma a Gesù Cristo.

16. L’opera dello Spirito richiede la risposta di una laboriosa docilità: «… colui che si prepara al diaconato “deve dirsi protagonista necessario e insostituibile della sua formazione: ogni formazione … è ultimamente un’autoformazione” (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 69). Autoformazione non significa isolamento e indipendenza dai formatori, ma responsabilità e dinamismo nel rispondere con generosità alla chiamata di Dio, valorizzando al massimo le persone e gli strumenti che la Provvidenza mette a disposizione. L’autoformazione ha la sua radice in una ferma determinazione a crescere nella vita secondo lo Spirito in conformità alla vocazione ricevuta e si alimenta nell’umile disponibilità a riconoscere i propri limiti e i propri doni» (Norme fondamentali, 28).

D.   L’itinerario e le sue fasi

17. Il cammino di discernimento e di formazione verso il Diaconato prevede tre fasi ben distinte:

  • una prima fase di presentazione della domanda al Rettore per la formazione, che provvederà ad indirizzare l’aspirante agli Assistenti per il primo contatto e orientamento e al Responsabile degli studi per iniziare il Corso di studi. Questa prima fase di accompagnamento individuale durerà circa un anno;
  • una seconda fase che avvia il cammino comunitario verso il ministero con il biennio di aspirantato, il quale a sua volta si conclude con il rito di Ammissione fra i candidati;
  • infine una terza fase, che abbraccia il triennio di formazione ministeriale ed è scandita dal conferimento dei ministeri istituiti (Lettorato e Accolitato) e che culmina nell’Ordinazione Diaconale.

Il discernimento, che è comunitario e personalizzato, potrà stabilire tempi diversi per il cammino di formazione dei singoli candidati e per le sue varie tappe.

 D1. La prima fase: discernimento iniziale e introduzione al cammino

18. L’obiettivo di questa prima fase è quello di favorire, in chiara e leale reciprocità, un primo contatto tra le persone interessate a far conoscere la propria domanda e le persone che possono mostrare che cosa offre la nostra Chiesa per una sua fruttuosa accoglienza. È, sostanzialmente, il momento di una iniziale conoscenza, che apre sulle prospettive di possibili decisioni a partire dalla chiarezza delle motivazioni, dalla lettura attenta del desiderio e delle condizioni obiettive per la sua coltivazione, dalla ricognizione delle concrete opportunità di passi e di aiuti per giungere a decisioni ben ponderate.

19. In questa fase coloro che hanno l’incarico del primo accostamento orientativo (diaconi e sacerdoti) saranno molto aiutati dallo stile di franchezza ecclesiale e di discrezione da cui proviene la domanda di discernimento vocazionale.

All’inizio del cammino di discernimento è richiesta una lettera di presentazione del soggetto da parte del parroco della comunità da cui proviene.

20. Gli Assistenti per il primo contatto e orientamento (diaconi e sacerdoti) avranno cura, sin dal primo momento, di promuovere e verificare nei soggetti loro presentati la disponibilità a conoscere la tradizione spirituale della Diocesi ambrosiana e ad assumerne gli indirizzi pastorali.

In questo periodo di discernimento sarà presentato e commentato, a cura dei diaconi Assistenti, il presente Direttorio, in vista di un puntuale confronto con le caratteristiche ministeriali del diacono.

In particolare i sacerdoti Assistenti sono incaricati di curare un iniziale discernimento, nel quale oltre all’autenticità del desiderio vocazionale in risposta all’iniziativa di Dio, si verifichi l’effettiva attitudine psicologica e di complessiva maturità umana ad assumere i compiti del ministero.

A colui che presenta la domanda per l’avvio dell’itinerario di formazione al Diaconato è richiesto di segnalare la persona scelta come direttore spirituale, che sarà concordata con il Rettore per la formazione.

21. Normalmente già in questa fase sarà valutata anche la disposizione agli studi teologici, attraverso un incontro dell’aspirante con il Responsabile degli studi. La tempestività di questo confronto e di un eventuale inizio degli studi già in questa fase sarà molto utile, soprattutto quando le condizioni di partenza lasciano intuire la necessità di accurate e lungimiranti pianificazioni.

La decisione di avviare al biennio di aspirantato verrà presa in seno all’Équipe di formazione, la quale esaminerà i profili dei singoli richiedenti sulla base della presentazione da parte dei responsabili del primo contatto.

Il cammino da qui in avanti, pur restando di discernimento personale, prende la forma di cammino di gruppo, con periodici colloqui individuali col Rettore per la formazione.

 D2. La seconda fase: il biennio di aspirantato

22. Con la seconda fase del cammino verso il Diaconato, coincidente con un biennio di aspirantato, si attiva la proposta di formazione. Il biennio ha come obiettivo quello di accompagnare l’aspirante verso una motivata ammissione tra i candidati al Diaconato. Poiché il rito di Ammissione rappresenta un momento assai importante nell’itinerario formativo, il biennio che vi conduce sarà caratterizzato da un’intensa esperienza spirituale. La durata di questa fase è di norma biennale. Opportunità legate alla frequenza dei corsi teologici o ad altri motivi educativi potranno portare ad una durata diversa, che verrà stabilita in Équipe.

23. Il cammino formativo in questa seconda fase si caratterizza per alcune richieste precise:

        la partecipazione assidua a specifici incontri, in genere domenicali con cadenza mensile, con momenti di istruzione e ritiri spirituali;

        l’accompagnamento da parte di un direttore spirituale;

        un itinerario di studi teologici concordato con il Responsabile degli studi e verificato anche con il Rettore per la formazione;

        la partecipazione alla settimana residenziale comunitaria che si tiene normalmente nel mese di agosto.

24. Gli incontri di istruzione proposti nel corso del biennio avranno lo scopo di introdurre alla vita spirituale (in particolare alla preghiera) e di confrontarsi sui diversi ambiti nei quali il diacono si troverà a vivere e ad operare, quali la famiglia, la società, la Chiesa.

L’analisi dei documenti del magistero sarà il metodo scelto per una conoscenza completa del ministero.

La presentazione del ministero diaconale è auspicabile che venga fatta dai diaconi accompagnatori dell’equipe di formazione. Questo permetterà di associare ai documenti della chiesa le esperienze personali di diaconi al servizio della Chiesa.

Per le mogli degli aspiranti e dei candidati sono previsti incontri specifici al fine di comprendere il ministero diaconale al quale saranno chiamati i loro mariti. A questi incontri partecipano le mogli dei diaconi accompagnatori che porteranno la loro esperienza ed il vissuto spirituale.

E’ prevista da parte dei diaconi accompagnatori una visita a casa degli aspiranti per conoscere meglio l’ambiente famigliare, attraverso uno scambio reciproco di esperienze in un colloquio amichevole.

25. Il Rettore per la formazione convocherà periodicamente i direttori spirituali degli aspiranti e dei candidati ed i loro parroci per illustrare gli obiettivi dell’itinerario formativo, le sue dinamiche e le sue tappe.

In particolare, il Rettore ascolterà il parere dei singoli parroci in vista del rito di ammissione.

26. Il biennio si conclude con l’Ammissione tra i candidati al Diaconato. Le singole candidature verranno accuratamente valutate in un’apposita riunione dell’Équipe di formazione, presieduta dal Responsabile. La presentazione degli ammittendi al Vescovo, cui compete la decisione, sarà accompagnata da una puntuale descrizione delle personalità compiuta dal Rettore per la formazione. Per casi particolarmente delicati e per problematiche insorgenti si richiederà il parere del Consiglio per il Diaconato.

 D3. La terza fase: il triennio di formazione ministeriale

27. La terza fase del cammino verso il Diaconato, dura di norma tre anni.

È un tempo che individua e raccoglie le conferme di un discernimento sostanzialmente già avvenuto. Quindi, mentre la fase preliminare del discernimento ha giustamente una durata proporzionata alla diversa storia dei vari soggetti, in questa fase sembra opportuno non prolungare ulteriormente, se non per seri motivi pedagogici o per gravi ritardi nel percorso scolastico, i tempi del cammino di formazione. Qualora, anzi, nel corso del cammino emergano elementi di chiaro segno contrario, è raccomandabile di non protrarre con l’interessato i termini di una conseguente decisione, al fine di evitare illusioni, inutili fatiche spirituali e complicazioni nei rapporti con la comunità di provenienza.

28. Nella terza fase si favorisce una sempre più esplicita e consapevole assunzione degli atteggiamenti spirituali e delle virtù essenziali che saranno richiesti da un vigile e duttile esercizio del ministero. Il candidato sarà motivato a misurarsi sempre più concretamente con una preparazione personalizzata in vista del servizio a cui la propria storia, la propria personalità e il bene della comunità lo avranno progressivamente orientato.

29. Nel corso del triennio di formazione, si procede alla istituzione nei ministeri del Lettorato e dell’Accolitato. Queste tappe sono occasione per verificare il cammino del candidato sotto il profilo della spiritualità, della pastoralità, della crescita di sensibilità teologica ed ecclesiale.

30. L’istituzione nel Lettorato a conclusione del primo anno, nell’Accolitato a conclusione del secondo e l’Ordinazione diaconale a conclusione del terzo conferiscono una precisa fisionomia al triennio di formazione. Il primo anno si configurerà come l’anno della Parola di Dio, il secondo come l’anno dell’Eucaristia e, più in genere, della liturgia cristiana, il terzo anno come l’anno della carità diaconale. Troverà così obiettivo riscontro sul versante educativo l’indicazione conciliare circa l’identità del ministero diaconale, ripresa nei recenti documenti della Santa Sede, secondo cui esso si presenta come diaconia della Parola, della liturgia e della carità (cf. LG 29).

31. In occasione dell’ammissione ai ministeri del Lettorato e dell’Accolitato e per l’Ordinazione diaconale, i candidati daranno prova della loro capacità attraverso una prova pastorale. Essa consisterà nell’impostare una questione pastorale legate alle “mense” che i candidati si apprestano a servire: quella della Parola, quella dell’Altare, quella della Carità.

32. Al termine del triennio di formazione si arriverà al discernimento definitivo e di conseguenza alla decisione di ammettere il candidato all’Ordinazione diaconale e all’esercizio del ministero. La decisione di ammettere all’Ordinazione spetta ultimamente al Vescovo. Essa è preparata da alcune procedure, tra cui:

—        un confronto approfondito tra il Rettore per la formazione e il Parroco di origine del candidato;

—        una documentazione scritta dell’itinerario scolastico compiuto, a cura del Responsabile degli studi;

—        il parere favorevole del direttore spirituale, riferito direttamente al soggetto interessato e da questo comunicato, nei suoi elementi conclusivi, al Rettore per la formazione;

—        la valutazione complessiva del Rettore per la formazione, discussa in una riunione dell’Equipe di formazione, presieduta dal Responsabile;

—        nel caso del candidato uxorato il consenso scritto della moglie, la quale ha già espresso verbalmente il proprio consenso nell’ambito del rito di ammissione;

—        il parere positivo della Commissione Arcivescovile De promovendis ad ordines.

E.   Gli studi teologici

33. Quanto alle direttive riguardanti la formazione teologica, la molteplicità delle provenienze scolastiche e le singolari condizioni professionali degli aspiranti e dei candidati, la pluralità dei loro profili culturali/intellettuali e, non da ultimo, l’ampiezza della nostra Diocesi suggeriscono duttilità e flessibilità nella conduzione e nell’accompagnamento dei cammini scolastici.

Peraltro la formazione teologica viene ancorata a istituzioni accademiche affidabili e consolidate, sia per assicurare la qualità e i contenuti della proposta offerta, sia per garantire il dovuto rigore in sede di verifica dell’apprendimento; risulta così possibile attestare al Vescovo e alla Diocesi una preparazione teologica per la quale le abilità pastorali siano sostenute da un’obiettiva competenza dottrinale.

34. Diverse e fondate ragioni – accessibilità della proposta e disponibilità di orari – indicano l’Istituto Superiore di Scienze Religiose come particolarmente atto ad assolvere questo specifico compito della formazione. Fatta salva la duttilità nel configurare, in accordo con il Responsabile degli studi, i tempi e le modalità della frequenza lungo gli anni della formazione, si richiede il conseguimento della Laurea triennale in Scienze Religiose. Per motivi di ordine pastorale, in presenza di un curriculum ormai pressoché completo e prevedendo onestamente una successiva applicazione negli studi ed una rapida conclusione del percorso scolastico, il Rettore con l’Équipe di formazione può decidere la posposizione del conseguimento della Laurea rispetto all’Ordinazione Diaconale.

F.   L’impegno pastorale

35. Durante il periodo di formazione, assume notevole importanza l’esercizio del servizio pastorale, il quale avrà come ambito privilegiato la parrocchia dell’aspirante o del candidato e si svolgerà in stretta relazione con il parroco, i presbiteri e gli altri operatori impegnati nella parrocchia. In accordo con i formatori, tuttavia, esso sarà sapientemente modulato, in relazione alla specifica situazione di ciascuno. Si avrà cura che coloro che sono già notevolmente impegnati in diversi servizi di carattere pastorale ridimensionino il loro coinvolgimento per concedere spazio a regolari tempi di preghiera e al carico dello studio. Si avrà attenzione a procurare un migliore inserimento nelle attività parrocchiali a coloro che non ne hanno esperienza oppure provengono da esperienze ecclesiali diverse (movimenti o altre realtà ecclesiali). Se necessario, si provvederà a inserire l’aspirante o il candidato in comunità parrocchiali diverse da quella di provenienza, qualora quest’ultima non garantisca un congruo cammino formativo in ordine al Diaconato.

36. Nel progettare il suo servizio e nel verificarne periodicamente l’andamento con il presbiterio locale, l’aspirante/candidato crescerà nel senso di responsabilità, nella capacità di collaborazione, nello stile di comunione, nel sapersi riferire non solo alle sue personali convinzioni, ma anzitutto al più vasto progetto parrocchiale.

37. Sarà attenzione abituale della formazione che il progressivo apprendimento di capacità e modalità ministeriali e l’impegno nei vari servizi parrocchiali, decanali, ecc. non siano a scapito della testimonianza cristiana del diacono nel suo normale ambiente di lavoro, del buon andamento della sua vita familiare e del suo cammino spirituale. La sua vita infatti non si esaurisce nelle funzioni di un solerte operatore pastorale, ma deve tutta intera diventare un chiaro segno dell’amore e della misericordia di Dio che, in Gesù Cristo, riunisce i suoi figli nella comunione e nella carità.

38. A loro volta, i presbiteri con i quali l’aspirante o il candidato collaborano nel servizio pastorale avranno cura non solo di verificare il loro progredire in uno spirito autenticamente cristiano e la loro adeguatezza al ministero diaconale, ma anche di incoraggiarli, di trasmettere loro il senso della comunione nel ministero ordinato, di propiziarne la formazione ministeriale. Essi saranno attenti a orientare l’aspirante o il candidato verso il servizio appassionato del Vangelo e dei cammini di fede dei fratelli, come umile e paziente tessitore di relazioni ecclesiali.

39. Molto utili saranno la riflessione ed il confronto condotti insieme con i diaconi già inseriti nel ministero: la vicinanza delle situazioni di vita di questi ultimi e l’amicizia vissuta nel periodo formativo daranno grande incisività alla loro testimonianza e saranno di chiarificazione e incoraggiamento ai nuovi candidati e alle loro famiglie.

 

 

 

III.
Ministero e Formazione permanente

 

A.   Le condizioni di esercizio del ministero e il decreto di nomina

40. La grazia del sacramento di ordinazione alimenta un genuino spirito di comunione e promuove autentici passi di collaborazione con tutti i ministeri e i carismi che edificano la Chiesa e ne dispiegano la missione. Essa guida il ministero diaconale verso la realizzazione di quella immagine di Chiesa che ci è stata riconsegnata dal Concilio Vaticano II, nella quale i ministeri del presbiterato e del diaconato, collaboranti, contribuiscono all’edificazione del corpo di Cristo.

La grazia sacramentale unisce inoltre i diaconi tra loro in uno speciale vincolo di fraternità.

Il vincolo giuridico dell’incardinazione manifesterà il suo «valore ecclesiologico e spirituale in quanto esprime la dedicazione ministeriale del diacono alla Chiesa» (Direttorio per i diaconi permanenti, 2).

41. L’atto con il quale il Vescovo conferisce al diacono l’incarico ministeriale rispecchia il discernimento svolto durante la formazione e raccoglie in unità la risposta obiettiva alle necessità pastorali della diocesi e la conoscenza della personalità del diacono.

In vista della concreta determinazione della prima destinazione pastorale, il Rettore per la formazione, sentito l’orientamento espresso dall’ordinando diacono, presenta al Vicario episcopale di zona ed eventualmente al Vicario del settore pastorale competente una proposta articolata contenente le tipologie di destinazione che appaiono più adeguate; la concreta determinazione della destinazione sarà poi sottoposta dal Rettore per la formazione e dal Vicario di zona al giudizio del Vicario generale e infine all’Arcivescovo.

42. Il decreto di nomina costituisce il riferimento obiettivo per ogni verifica dell’esperienza diaconale. I tempi e il fine di queste verifiche, che alimentano il reciproco spirito di responsabilità, possono essere suggeriti sia dal sorgere di nuove necessità pastorali sia dal variare delle condizioni personali.

Sia in ogni caso prevista una verifica ordinaria periodica, su iniziativa del Vicario di zona o del settore pastorale competente o del Rettore per la formazione e, in particolare nei primi anni di ministero, con la collaborazione di alcuni diaconi incaricati dall’Équipe per la formazione dell’accompagnamento dei neo-ordinati.

43. E’ importante mantenere viva nelle comunità cristiane la coscienza che il diacono è un dono per tutta la Chiesa e non solo per la comunità che lo esprime. «La destinazione pastorale dei diaconi, sia a servizio di una parrocchia sia in un incarico sovraparrocchiale o diocesano, venga curata in modo tale da essere funzionale alla manifestazione del senso del ministero diaconale e non solo alle necessità immediate» (Sinodo Diocesano 47°, cost. 517 §1).

Normalmente l’incarico pastorale del diacono verrà svolto in comunità diverse da quella di provenienza, al fine di esprimere il senso della missione e di ottimizzare la sua immagine verso la comunità di destinazione, non inficiata da vecchi ruoli e conoscenze.

La destinazione in ambito sovraparrocchiale (Comunità pastorali, decanati, zone pastorali) consente di manifestare con maggiore evidenza il ruolo del diacono a servizio della pastorale d’insieme.

44. Normalmente il diacono continuerà a mantenere la sua abituale residenza. Eventuali richieste di trasferimento della residenza stessa considereranno con il massimo riguardo le esigenze della famiglia, affinché rimangano in armonia con la destinazione pastorale.

45. Il ministero diaconale si ispira al fondamentale valore della gratuità. Nel solo caso in cui il ministero sia svolto a tempo pieno e non vi siano altre fonti di reddito adeguate, tenendo conto dei bisogni specifici dei diaconi uxorati, il sostegno economico andrà garantito dall’ente ecclesiastico presso il quale il diacono opera (cf can. 281).

In ogni caso, ogni parrocchia, ente e istituzione ecclesiastica (o insieme di essi, se il diacono è al servizio di più realtà ecclesiali) che gode del servizio ministeriale di un diacono concorre a sostenere, qualora vi sia, l’onere relativo ad alcuni capitoli di spesa (utilizzo del mezzo proprio, impiego di propria strumentazione informatica, spese telefoniche o relative all’acquisto di materiale di sussidiazione pastorale, ecc.), nella misura forfettaria corrispondente a € 100,00 mensili, rivalutabili (l’importo può essere superiore nel caso in cui l’onere sostenuto dal diacono ecceda, nell’ambito di un anno, quanto ricevuto come rimborso, mentre può essere inferiore nel caso in cui il rimborso delle spese sia totalmente o parzialmente ricompreso nell’ambito della remunerazione garantita al diacono dal soggetto ecclesiale presso cui opera). Le stesse parrocchie, enti e istituzioni ecclesiastiche contribuiscono alle spese generate dalle attività di formazione e accompagnamento del ministero diaconale corrispondendo alla formazione al Diaconato permanente un contributo annuo in forma di liberalità, per la quale si considera congrua la misura di € 500,00, rivalutabili.

B.   L’introduzione nel ministero e la cessazione dall’incarico pastorale

46. L’introduzione nel ministero chiede al diacono di riconsiderare le diverse dinamiche relazionali. In particolare, dovrà tenere presenti i nuovi stimoli e le nuove sfide per la vita spirituale, gli assestamenti della vita famigliare, l’identificazione e la calibratura dei compiti in contesti che si vanno via via manifestando nella loro concretezza, le relazioni col presbiterio e con i diversi organismi di partecipazione.

Corrispettivamente, il Vicario episcopale di zona o di settore, il Decano, il Parroco, la Diaconia della Comunità pastorale faranno in modo di promuovere una adeguata maturazione di consapevolezza e di atteggiamenti nelle comunità cristiane che ricevono il diacono.

47. E’ opportuno che non manchino incontri per un accompagnamento il più possibile personalizzato del diacono nelle tappe successive della sua vicenda ministeriale.

La maturazione di nuovi incarichi o successive destinazioni saranno sempre valutate con il Vicario di zona o del settore pastorale competente e con il Vicario generale. In particolari circostanze (motivi di salute, altri motivi personali o motivi disciplinari), il Vescovo potrà ritenere opportuno che al diacono non venga assegnata alcuna destinazione pastorale.

La sospensione temporanea o a tempo indeterminato dal ministero e la perdita dello stato clericale sono determinati dal Vescovo nei casi e secondo le modalità previste dalla normativa canonica.

Al compimento del 75° anno di età, i diaconi sono invitati a rimettere il loro mandato pastorale nelle mani del Vescovo, sebbene ciò non costituisca una rinuncia formale all’ufficio. L’Ordinario diocesano valuterà l’opportunità di chiedere al diacono di rimanere nella destinazione assegnata a tempo indeterminato o per un tempo limitato. In ogni caso, anche dopo la cessazione formale da un incarico configurato, il diacono continuerà a servire la Chiesa con la preghiera, il servizio liturgico e la testimonianza di vita cristiana.

C.   L’esercizio del ministero nella diaconia della Parola, della liturgia e della carità

48. Il ministero diaconale è sintetizzato dal Concilio Vaticano II con la triplice “diaconia della liturgia, della parola e della carità”, con la quale il diacono «partecipa all’unico e triplice munus di Cristo nel ministero ordinato» (LG 29). Il servizio del Vangelo, dell’altare e della prossimità inserisce il diacono come ministro ordinato nel mistero della Chiesa che annuncia la salvezza in Cristo Gesù, celebra la Pasqua del Signore che raduna i credenti e si fa vicina ai bisogni di ogni fratello, soprattutto dei poveri.

C1. La diaconia della Parola

49. Il diacono annuncia autorevolmente la Parola di salvezza in molti modi: egli proclama il Vangelo nelle celebrazioni liturgiche, ha la facoltà di tenere l’omelia, presiede le celebrazioni della parola di Dio, è ministro qualificato per la catechesi, in particolare per la preparazione ai sacramenti, in primo luogo i sacramenti dell’iniziazione cristiana e, per i diaconi uxorati, per la formazione dei fidanzati e delle giovani coppie e l’animazione dei gruppi famigliari.

Tuttavia, essi trasmettono la Parola attraverso la loro presenza attiva e la testimonianza della vita anche nell’ambito professionale e in tutti i “nuovi areopaghi”, nei quali «si forma l’opinione pubblica o dove si applicano le norme etiche» (Direttorio per i diaconi permanenti, 26). Per questo motivo, è necessario che i diaconi procurino di mantenere un contatto assiduo con la parola di Dio nella preghiera e nello studio e si esercitino ad interpretare alla sua luce il tempo presente, al fine di discernere in esso le vie di Dio.

50. I diaconi sono ministri di una Chiesa che per sua natura è missionaria e attualmente impegnata in un’attività di rinnovata evangelizzazione. Coltivino perciò l’interesse e la formazione anche alla missione ad gentes, aprendo il cuore e la mente alla varietà delle culture e affinando la sensibilità ai temi della giustizia e della pace tra le nazioni.

Siano anche solerti nell’imparare «l’arte di comunicare la fede all’uomo moderno in maniera efficace e integrale, nelle svariate situazioni culturali e nelle diverse tappe della vita» (Direttorio per i diaconi permanenti, 23).

C2. La diaconia della liturgia

51. Ai diaconi sono affidate molteplici funzioni liturgiche, in particolare sono ministri ordinari della comunione eucaristica e ministri ordinari (con la licenza del parroco cui compete in primo luogo tale funzione) del battesimo; con la opportuna delega possono assistere al sacramento del matrimonio e possono presiedere (sempre con la licenza del parroco cui compete in primo luogo tale funzione) le esequie celebrate senza la messa e impartire le benedizioni espressamente consentite loro dai libri liturgici.

52. Nella celebrazione eucaristica, il diacono svolge il duplice ruolo di aiutare la Chiesa, a nome di Cristo stesso, ad essere partecipe dei frutti del sacrificio del Signore, e di rappresentare il popolo fedele, aiutandolo ad unire l’offerta della propria vita a quella di Cristo stesso.

Più ampiamente, il diacono si adopererà per «promuovere celebrazioni che coinvolgano tutta l’assemblea, curando la partecipazione interiore di tutti e l’esercizio dei vari ministeri», e avendo a cuore la bellezza di ciò che si celebra, anche curando la musica e il canto, attenendosi sempre a princìpi di sobrietà e dignità delle celebrazioni, affinché nell’azione liturgica risalti non la persona del ministro o un’esteriorità ridondante, bensì l’opera della salvezza che continua nella Chiesa e nella liturgia raggiunge tutti i credenti.

53. I diaconi saranno particolarmente attenti e solerti nel dare la loro disponibilità per il servizio liturgico nelle celebrazioni solenni presiedute dall’Arcivescovo o di rilievo diocesano e nelle Messe Capitolari in Cattedrale.

54. Ai diaconi può essere opportunamente affidata la cura pastorale degli ammalati, con la vicinanza premurosa nella sofferenza, la catechesi in preparazione al sacramento dell’unzione, la preparazione dei fedeli al morire cristiano e l’amministrazione del Viatico, quest’ultima con la licenza almeno presunta del parroco o del cappellano. Secondo la dottrina definita, il diacono non può conferire il sacramento dell’unzione degli infermi, in virtù della sua dipendenza con il perdono dei peccati.

C3. La diaconia della carità

55. Nel ministero della carità i diaconi trovano una modalità singolare per configurarsi più strettamente a Cristo servo, facendosi prossimi alle molteplici necessità spirituali e materiali delle persone. Essi cercheranno di «servire tutti senza discriminazioni, prestando particolare attenzione ai più sofferenti e ai peccatori. Come ministri di Cristo e della Chiesa, sappiano superare qualsiasi ideologia e interesse di parte, per non svuotare la missione della Chiesa della sua forza, che è la carità di Cristo» (Direttorio per i diaconi permanenti, 38).

I diaconi mantengono viva nella Chiesa questa dimensione essenziale della vita cristiana, rendendo visibile il legame che sussiste tra la mensa del Corpo di Cristo e la mensa dei poveri, dei deboli, degli esclusi. Essi esprimeranno la presenza fraterna della Chiesa in tutte le periferie dell’esistenza umana, in particolare tra i carcerati, gli anziani soli o residenti nelle case di riposo, gli ammalati, i migranti, nel servizio di consolazione degli afflitti e dei dolenti che hanno perso una persona cara.

56. Compito specifico dei diaconi è di essere non soltanto operatori di carità, ma educatori alla carità: essi si adopereranno affinché tutti i fedeli si pongano in autentico servizio dei fratelli.

I diaconi potranno essere opportunamente destinati alla guida e all’animazione della carità nelle Caritas parrocchiali, decanali e zonali; saranno inoltre disponibili ad esercitare il servizio di carità nell’educazione cristiana, in particolare nell’animazione degli oratori e dei gruppi ecclesiali giovanili.

La funzione caritativa dei diaconi potrà estendersi, secondo una antica tradizione, all’amministrazione dei beni della Chiesa ed esercitarsi negli organismi di carattere economico, portando anche in essi la sensibilità per i bisogni degli ultimi e la promozione dei più poveri. In ogni caso, i diaconi che svolgono il loro servizio in un parrocchia o in una comunità pastorale sono membri di diritto del Consiglio pastorale parrocchiale e della Diaconia della comunità pastorale (e quindi anche del Consiglio pastorale della comunità pastorale e del Consiglio per gli affari economici della comunità pastorale).

57. Il primo ambito nel quale i diaconi coniugati eserciteranno la carità sull’esempio di Cristo è in ogni caso quello della famiglia: la donazione reciproca dei coniugi, la comune intesa per l’educazione dei figli, l’eventuale accoglienza nel contesto famigliare di genitori anziani o ammalati, l’apertura alla fraterna condivisione con altre famiglie, specialmente quelle maggiormente in difficoltà, sono altrettante modalità privilegiate con le quali i diaconi diranno concretamente il primato evangelico dell’amore e mostreranno il volto di Colui che non è venuto per essere servito ma per servire.

58. Nell’ambito ecclesiale e professionale, la testimonianza diaconale si concretizza nella cura prioritaria per la bontà delle relazioni, il servizio alla comunione e alla riconciliazione, l’assunzione di uno stile non burocratico, la condivisione della dimensione quotidiana e feriale dell’esistenza delle persone, in ascolto delle domande e delle fatiche che esse confidano ai diaconi. In ogni circostanza, i diaconi aiuteranno le persone a conoscere e ad amare la Chiesa.

D.   L’istanza della formazione permanente

59. La formazione permanente del diacono costituisce un preciso impegno di coscienza, non un’opzione facoltativa ma un obbligo legato al ministero assunto, «in modo che la vocazione “al” diaconato continui e si riesprima come vocazione “nel” diaconato, attraverso la periodica rinnovazione del “sì, lo voglio” pronunciato il giorno dell’ordinazione» (Direttorio per i diaconi permanenti, 63). Tale formazione «deve essere dunque considerata – sia da parte della Chiesa, che la impartisce, sia da parte dei diaconi, che la ricevono – come un mutuo diritto-dovere fondato sulla verità dell’impegno vocazionale assunto».

60. «La sollecitudine della Chiesa per la formazione permanente dei diaconi sarebbe perciò inefficace senza l’impegno di ciascuno di essi. Tale formazione non può pertanto venir ridotta alla sola partecipazione ai corsi, alle giornate di studio, ecc., ma richiede che ogni diacono, consapevole di questa necessità, la coltivi con interesse e con un certo spirito di sana iniziativa. Il diacono curi la lettura di libri scelti con criteri ecclesiali, non manchi di seguire qualche pubblicazione periodica di provata fedeltà al magistero e non trascuri la meditazione quotidiana. Formarsi sempre di più per servire sempre meglio e di più è una parte importante del servizio che gli viene richiesto» (Direttorio per i diaconi permanenti, 65).

61. «Considerata nella prospettiva del vescovo, e dei presbiteri, cooperatori dell’ordine episcopale, che portano la responsabilità e il peso del suo espletamento, la formazione permanente consiste nell’aiutare i diaconi a superare qualsiasi dualismo o rottura fra spiritualità e ministerialità, ma, prima ancora, a superare ogni rottura fra la propria eventuale professione civile e la spiritualità diaconale […]. Le due prospettive sono complementari e si richiamano reciprocamente in quanto fondate, con l’aiuto dei doni soprannaturali, nell’unità interiore della persona»(Direttorio per i diaconi permanenti, 66).

62. L’organizzazione della formazione permanente è affidata al Rettore per la formazione, coadiuvato dall’Equipe per la formazione. Le attività comprenderanno momenti di ritiro spirituale, occasioni di aggiornamento teologico-culturale, incontri per zone pastorali con la presenza dei rispettivi Vicari episcopali di zona, esperienze comunitarie di preghiera e incontro con realtà significative della Chiesa e del Diaconato in Italia e all’estero. Nell’ambito della Formazione permanente del clero diocesano, saranno ricercate forme e momenti comuni di formazione per presbiteri e diaconi, al fine di incentivare il senso dell’unità del ministero ordinato e della cooperazione nel servizio alla Chiesa diocesana.

Nell’ambito delle verifiche periodiche, il Vicario di zona o del settore pastorale competente accerterà che il diacono stia effettivamente compiendo un percorso significativo nella propria formazione permanente.

63. La formazione permanente avrà cura anche di accompagnare nelle modalità più opportune le mogli dei diaconi, «affinché crescano nella consapevolezza della vocazione del marito e del proprio compito accanto a lui» (Orientamenti e norme, 27).

64. E’ parte essenziale della formazione permanente del diacono la vigilanza e la cura per la continua ricerca dell’equilibrio tra il ministero, la vita famigliare e l’impegno professionale. La contrazione dei tempi da dedicare alla famiglia chiede che si elevi la qualità delle relazioni famigliari; la necessità di affrontare situazioni pastorali complesse e insieme di essere presenti in passaggi delicati della vita famigliare chiede al diacono di saper coltivare un’attenta ricerca dell’unità di vita, riconoscendo il primato della dimensione spirituale, anche attraverso la condivisione della preghiera con la moglie.

65. I diaconi celibi avranno cura di vigilare sulle loro concrete condizioni di vita, sulla cura per la propria persona e l’ordine della vita e sulla qualità delle relazioni con l’ambiente quotidiano in cui vivono il loro ministero, a cominciare dai rapporti con la famiglia d’origine e con i genitori che abbiano eventualmente a carico.

I responsabili della formazione permanente incoraggeranno e faciliteranno l’incontro e lo scambio tra i diaconi celibi, affinché sia sempre ravvivata la consapevolezza di una comunione e di un’appartenenza ecclesiale che fonda la decisione personale di dedicare l’esistenza al ministero diaconale.

 

La preghiera del diacono e la cura per il progresso nella vita di fede

66. «Fonte primaria del progresso nella vita spirituale è senza dubbio l’adempimento fedele e instancabile del ministero in un motivato e sempre perseguito contesto di unità di vita» (Direttorio per i diaconi permanenti, 51). Nel compimento del loro ministero, cioè nella diaconia della Parola, della liturgia e della carità – oltre che, per i diaconi coniugati, nell’esercizio della ministerialità familiare – i diaconi sperimentano la reale partecipazione al ministero di Cristo stesso, anzi la comunione al suo stesso mistero personale: l’offerta di se stesso al Padre, l’insegnamento autorevole della Parola di vita, la condivisione della sua stessa carità. Non esiste santità personale del diacono indipendentemente o a prescindere dall’esercizio del ministero e della dedicazione al bene della Chiesa e viceversa quest’ultima è per lui autentica via di santificazione.

67. Per realizzare la sequela di Cristo nel ministero, i diaconi hanno bisogno di stare con il Signore, crescendo nell’adesione personale a Lui e alla sua missione, sviluppando e consolidando lo spirito di fede e coltivando la preghiera assidua e fedele, plasmata dal ministero stesso. Avvertano l’urgenza spirituale di tempi periodici di ritiro e abbiano cura di attendere annualmente agli esercizi spirituali.

Dal momento dell’ordinazione i diaconi sono tenuti all’obbligo quotidiano della celebrazione della Liturgia delle Ore, specificamente delle lodi mattutine, dei vespri e della compieta.

Per quanto possibile, i diaconi partecipino alla celebrazione quotidiana dell’Eucaristia e siano assidui nella preghiera di adorazione eucaristica. «Nel mistero del corpo e del sangue del Signore riconoscano il centro della loro vita e la fonte di ogni grazia per il ministero al quale sono chiamati» (Orientamenti e norme, 26).

I diaconi abbiano anche cura di accostarsi con regolare frequenza al sacramento della riconciliazione.

La parola di Dio sia alimento costante della vita spirituale dei diaconi: siano assidui nel contatto con le Scritture, curando per quanto possibile l’esercizio quotidiano della lectio divina.

I diaconi infine non trascurino di coltivare l’affetto e la devozione a Maria, l’umile serva del Signore, madre di Gesù e madre della Chiesa, in particolare attraverso la recita della preghiera del rosario.

68. Sarà di grandissima utilità per il diacono la direzione spirituale regolare, al fine di operare un attento discernimento personale e pastorale, di conseguire una migliore conoscenza e padronanza di sé e di progredire nella sequela del Signore sotto la guida dello Spirito Santo.

Decreto di Promulgazione
Prot. Gen. n. 410
Milano, 9 marzo 2015

Cardinale Arcivescovo

Angelo Scola