Diaconato e matrimonio
È un dato di fatto che la gran parte dei diaconi permanenti siano sposati. Ciò significa che esiste un legame profondo tra la vocazione diaconale e la vita familiare.
A differenza di quanto si potrebbe immediatamente pensare, il diaconato non è un ostacolo alla vita familiare e tantomeno un annullamento della sua spiritualità. Il diaconato si innesta sulla vita familiare, portandola ad un singolare sviluppo e conferendole una fisionomia nuova e originale. Potremmo parlare di un nuovo approdo della identità della vita familiare. Ne consegue che il primo ambito di esercizio del ministero di un diacono sposato sarà la sua stessa famiglia. Per ogni famiglia che si trova a misurarsi con una vocazione diaconale esiste anzitutto un problema di impatto, che è bene non sottovalutare. Sia le mogli che i figli degli aspiranti al diaconato devono affrontare da subito un sorta di timore che sorge immediatamente: è la istintiva sensazione di perdere, in parte o del tutto, il marito o il padre. Questo sentimento va rispettato. Non sarebbe corretto suggerire ai familiari, come antidoto, un’anomala spiritualità del sacrificio, secondo la quale ci si dovrebbe rassegnare eroicamente a perdere il proprio marito o il proprio padre, chiamato da Dio ad un compito sacro. Il cammino, condotto insieme sulla base della reciproca fiducia e della comunione fraterna, permetterà di capire che non si tratta affatto di una cosa del genere, ma di un dono fatto alla Chiesa e alla stessa famiglia.
Diaconato e celibato per il Regno di Dio
A fianco della figura del diacono sposato vi è anche quella del diacono celibe. Sebbene il numero dei diaconi non sposati sia piuttosto ridotto rispetto a quello dei diaconi coniugati, essi sono una realtà e vanno considerati come un dono prezioso alla Chiesa. Chi diventa diacono da celibe resta celibe per tutta la vita, per la semplice ragione che il diaconato si riceve a partire da una scelta di vita che va considerata definitiva. Prima di intraprendere il cammino di formazione al diaconato e durante questo stesso cammino, la persona non sposata sarà invitata a compiere una verifica seria e serena su questo punto. Essa deve capire bene per quali ragioni non si sia sposata. La chiamata al diaconato può essere senz’altro l’occasione per riconoscere una precedente chiamata al celibato per il Regno di Dio, già presente e attiva in una vita di generoso servizio al prossimo. Una cosa comunque è certa: non ci si consacra allo stato verginale semplicemente perché non si è trovata la persona giusta e tantomeno perché non si è riusciti a formarsi una famiglia. Qualcuno però dirà: «Ma perché allora queste persone non sposate non diventano sacerdoti?». A questa domanda non si può dare che una risposta: «Perché la loro vocazione è quella al diaconato e non al sacerdozio». I due ministeri sono distinti e diversi e hanno uguale dignità. Sarebbe scorretto pensare che il sacerdozio valga più del diaconato ed essendo queste persone, in quanto non sposate, nella condizione di poter ricevere l’ordinazione sacerdotale, sia preferibile che diventino preti e non diaconi. Non sta a noi decidere che cosa una persona deve diventare. Il nostro compito è capire che cosa Dio vuole da lei.