Duomo di Milano, 29 settembre 2012
Festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele
Testi liturgici: Tb 12,6-15; Sal 21; Col 1,13-20; Lc 1,8-20.26-33
Omelia di S. Em. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
- «O Dio, che chiami gli angeli e gli uomini a cooperare al tuo disegno di salvezza» (All’inizio dell’Assemblea liturgica). Le parole iniziali della preghiera dell’odierna Festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, ci introducono immediatamente alla verità del gesto sacramentale dell’Ordinazione diaconale.
Esso viene definito, innanzitutto, dal dato, elementare ma a volte dimenticato o disatteso, che è Dio a chiamare. Nessuno di noi – neppure gli stessi Arcangeli – potrebbe pensare di adempiere qualsiasi missione o ministero, se non fosse perché il Padre ci ha preceduti, ci ha chiamati e ci manda attraverso lo Spirito del Risorto vivente nella Sua Sposa, la Chiesa. Il Padre sempre ci precede: non solo perché è alla nostra origine, ma ci precede in ogni istante della nostra esistenza (cfr Epistola, Col 1-13-20).
Carissimi, la voce dell’Arcivescovo che chiamerà ciascuno di voi personalmente, farà da eco, ecclesiale e storica, a questa chiamata del Padre. Questa sola è la fonte di certezza per la vostra vocazione: sei scelto, un Altro ti chiama, si prende cura del tuo cammino e del tuo ministero.
A che cosa, insieme agli angeli, siamo chiamati? Risponde la liturgia: «A cooperare al tuo disegno di salvezza». Cerchiamo di cogliere insieme la profondità di quest’affermazione della liturgia.
- Col termine “cooperare” ci viene indicato il nucleo stesso del ministero. Esso scaturisce permanentemente dal rapporto che Cristo ha voluto istituire con ciascuno di voi carissimi ordinandi. Egli vi chiama a “co-operare”, non semplicemente ad operare. Il Signore, quindi, Vi invita a stare, vivere ed agire con Lui. È questo “con Lui” a definire la vostra persona ed il vostro ministero. Fino al punto che dobbiamo, per grazia, giungere a dire, con san Paolo, «io, ma non più io» (cfr Gal 2,20).
Il Santo Vangelo che abbiamo ascoltato illumina la natura, ragionevole e libera, della vostra cooperazione diaconale al disegno del Padre. Il doppio annuncio di Gabriele a Zaccaria e alla Vergine ci indica come il Padre non cerchi, per così dire, dei “meri esecutori” della Sua volontà, quasi che Gli bastassero dei delegati o addirittura dei burattini. Egli, attraverso l’angelo, entra in dialogo con gli uomini e chiede loro libero assenso ed adesione. L’Angelo stesso sollecita il libero scambio con una solida proposta: «Non temere» (Vangelo, Lc 1,13.30). Quanto verrà domandato dal Signore è già stato anticipatamente da Lui garantito. Aderisci allora! Cooperare con il Signore fa, quindi, emergere il senso della vita come vocazione: la Vergine «si domandava che senso avesse un saluto come questo» (Vangelo, Lc 1,29). La natura della missione affidata deve sempre mantenere un carattere verginale. Cosa significa? Non deve dominare il compito affidato. È questa invece la pretesa di Zaccaria che l’Angelo sanziona: «Tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo» (Vangelo, Lc 1,20).
Siamo solo cooperatori del «tuo disegno di salvezza», perché solo Tu, Signore, puoi salvare gli uomini. Per questo siamo chiamati “ministri”: perché presi a servizio dell’opera di salvezza di un Altro.
Nella storia, questo disegno di salvezza ha un nome proprio: Gesù Cristo, la misericordia del Padre, «per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» (Epistola, Col 1,14). Gesù, il Crocifisso Risorto, «è prima di tutte le cose e tute in lui consistono» (Epistola, Col 1,17). Ed «Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa» (Epistola, Col 1,18). Questo corpo è la Chiesa, il popolo cristiano, nella concretezza del suo camminare lungo le strade di questo mondo. Condividendo «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi» (GS 1) voi, carissimi candidati, per opera dello Spirito Santo incontrerete l’abbraccio di Gesù misericordia del Padre.
- Voi, diaconi permanenti, dovrete andare e riandare con l’aiuto dei superiori a quanto ebbe a dire il Servo di Dio Paolo VI col Motu proprio “Sacrum Diaconatus” 18 giugno 1967) che impartì le norme per il ristabilimento del diaconato permanente nella Chiesa latina. Di questo servizio particolare gode la nostra Chiesa ambrosiana da ben venticinque anni: oggi è anche l’occasione per ringraziare il Signore per questo dono.
La mia gratitudine va anche alle vostre mogli ed ai vostri figli che con libera decisione accompagnano questa vostra impegnativa scelta.
- Cari candidati al presbiterato che oggi sarete ordinati diaconi, l’elezione che oggi la Chiesa fa delle vostre persone domanda alla vostra libertà un’altra imprescindibile condizione. «Custodire per sempre l’impegno a vivere nel celibato» (Impegni degli eletti). In questo per sempre si trova il sigillo dell’amore vero. Questo dono che il Signore elargisce a ciascuno di voi, e che da voi domanda pieno e libero assenso è, forse ai giorni nostri più che in passato, testimonianza luminosa dell’amore di Dio e della Sua potenza di compiere il desiderio del cuore dell’uomo. «Non temere»: le parole dell’angelo sono le parole che la Chiesa vi rivolge oggi. E la Chiesa sa di cosa parla: sul volto di molti uomini e donne in tutto il mondo e lungo la storia, si può contemplare la verità e la bellezza dell’amore verginale che lo stesso Gesù volle vivere in prima persona.
- Al cuore del vostro servizio diaconale sta il richiamo del Salmo responsoriale: «Annuncerò il tuo Nome ai miei fratelli» (Sal 21). Così abbiamo cantato. Benedetto XVI descrive il contenuto di questo annuncio in termine di testimonianza. Dice il Papa: «La prima e fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere testimonianza con la nostra vita. Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore. Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell’uomo» (Sacramentum caritatis n. 85).
- Carissimi voi tutti figli della Chiesa ambrosiana, qui presenti o che ci seguite da casa, in questo Anno della fede la cui porta si apre ormai davanti a noi sosteniamoci vicendevolmente nella scoperta del Dio vicino. Preghiamo per tutta la Chiesa, per il Papa e i Vescovi in comunione con lui, per tutti i sacerdoti ed i diaconi, per i consacrati, per tutti i fedeli laici. Preghiamo, con rinnovato fervore, il Padrone della messe perché non manchino operai al servizio del popolo di Dio. E insieme aiutiamoci a seguire il Signore che ci chiama a cooperare al Suo disegno di salvezza per il bene dei nostri fratelli uomini.
Ciò domanda l’umiltà della necessaria supplica «Credo, aiuta la mia incredulità» (Mc 9, 24). Potremo così far nostro l’invito dell’Arcangelo Raffaele: «Benedite Dio e proclamate davanti a tutti i viventi il bene che vi ha fatto, perché sia benedetto e celebrato il suo nome» (Tb 12,6).
La Vergine, cui ci affidiamo abbandonati come bimbi, irrobustisca il “sì” di questi nostri fratelli diaconi. Amen.