L’ultimo saluto al diacono Elio Panozzo

In maniera inaspettata è salito al cielo il nostro caro confratello diacono Elio Panozzo.
Nato nel 1951 e residente a Novate Milanese, Elio è stato ordinato nel 2012 a prestava servizio nell’Ospedale di Garbagnate.

Mentre ci uniamo al lutto della moglie Annamaria e dei due figli, vi invito a rivolgere la vostra preghiera al Padre nella certezza che Elio godrà dell’incontro con il Signore risorto, la sua Santissima Madre Maria e con tutta la Chiesa del cielo.
don Filippo Dotti
Omelia nelle esequie.

Come un diacono vive la Passione di Gesù? È strano: a volte si ha l’impressione che come credenti possiamo rivivere la passione di Gesù se e solo se, come Lui, affrontiamo la sofferenza, il dolore, l’agonia. Sembra che il diacono Elio non abbia vissuto questi aspetti, o almeno noi non ne siamo a conoscenza: la sua morte è stata improvvisa, non ha vissuto i giorni della malattia, e la sua vita, per quello che conosco personalmente, è stata una vita bella, piena, con una bella famiglia di cui amava parlare, sua moglie Annamaria, i suoi figli lontani, residenti all’estero, i suoi nipotini.

Eppure, se cerchiamo per così dire nelle pieghe dei racconti evangelici della Passione di Gesù, alcuni passaggi forse poco evidenti ci rispecchiano alcuni tratti della vita e del ministero diaconale di Elio. Si dice nel Vangelo di Luca che, mentre Gesù donava il suo corpo e il suo sangue nel pane e nel vino che aveva distribuito ai suoi discepoli, essi erano impegnati in una discussione su “chi di loro poteva essere considerato il più grande”. Il diacono Elio amava discutere, lui stesso per primo lo riconosceva; in un messaggio mi scriveva: “Quando c’è da discutere e sostenere le mie idee non mi tiro indietro!”. Ma Elio non discuteva per affermare semplicemente le sue idee, o per dimostrare di essere più bravo degli altri o per averla vinta sulle opinioni degli altri. Elio discuteva perché era appassionato, perché amava la Chiesa e la verità. Elio contestava, puntualizzava, dibatteva senza arroganza, senza supponenza, senza violenza alla fine, ma perché ci credeva, perché coltivava un’immagine di Chiesa, sognava un futuro di Chiesa, e si batteva perché le cose di sempre, che ci trasciniamo dietro spesso non per convinzione ma per pigrizia e inerzia, cambiassero. E il diacono Elio faceva tutto questo in una modalità assolutamente aliena da ogni clericalismo: posso dire che ho conosciuto pochi diaconi così limpidamente non clericali. Anche così Elio ha vissuto il senso autentico della passione di Gesù.

Il racconto della morte di Gesù in croce contempla anche un gesto, che, seppur interpretato in maniera diversa dagli esegeti, dalla maggior parte di essi è inteso come un gesto di autentica umana compassione e solidarietà: un soldato “corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere”. Elio è stato un appassionato diacono impegnato nella pastorale della salute. In diverse occasioni mi raccontava lo stile, le scelte che caratterizzavano il suo servizio in ospedale. Anche qui non mancava un accento polemico nei confronti di quegli operatori pastorali cristiani che sembrano avere l’aria di voler imporre la presenza di Dio presso gli ammalati, sentendosi incaricati di evangelizzare a tutti i costi anche i più lontani dalla fede, quasi forzandoli a fare i conti con la proposta di fede e l’offerta dei sacramenti. Forse è una visione un tantino esagerata, ma serviva a Elio per descrivere il suo servizio agli ammalati come una vicinanza discreta, una prossimità carica di umanità, un desiderio di condivisione, uno stare accanto, un ascolto delicato, paziente e silenzioso, senza giudicare, che in quanto tale suscitava talvolta l’interrogativo della fede e l’aspirazione al conforto dei sacramenti anche in persone poco abituate alla pratica ecclesiale. «Il nostro – scriveva in una traccia per un incontro di diaconi impegnati nelle case di cura – è il ministero della soglia, per accogliere e accompagnare colui che vuole entrare, ma anche per rimanere in compagnia di colui che preferisce starsene fuori, senza costringere nessuno». E poi c’era l’ampio, competente e convinto contributo che Elio dava al coinvolgimento dei diaconi ambrosiani nelle iniziative della pastorale della salute nazionale. Qui emergeva la sua stoffa di ingegnere, attento, preciso, capace di organizzare, attento ai dettagli. Elio svolgeva questo compito di raccordo con entusiasmo, proponendo, coinvolgendo, rilanciando. Il diacono Elio non è stato solo un operatore pastorale accanto ai malati, è stato anche un diacono che ha cercato di pensare il servizio della pastorale della salute, lo stile della presenza dei cappellani e dei collaboratori nei luoghi di cura, la coltivazione dello spessore e della qualità delle relazioni, le implicazioni di carattere civile e giuridico.

Gesù risorto appare ai suoi discepoli alitando su di loro lo Spirito Santo, Spirito di pace e di riconciliazione. In una mail, in cui commentava il tema scelto per un Convegno regionale dei diaconi lombardi – il rapporto tra diaconi e presbiteri in una Chiesa che cambia – Elio mi manifestava tutto il suo interesse per l’argomento e allargava lo sguardo scrivendo: « Sinodalità, Gruppi Barnaba, la stessa Amoris laetitia che seguo con i gruppi di Acor per i risposati, sono tutti temi molto caldi adatti ad uno Spirito che può soffiare davvero forte dopo un periodo di crisi come quello che abbiamo avuto e stiamo vivendo [si riferiva alla pandemia]. Siamo di solito molto bravi ad imbavagliarlo: ci riusciremo ancora? Abbiamo gente in grado di aprire le vele?».Ecco, anche così il diacono Elio ha vissuto la passione e risurrezione del suo Signore, condividendo il desiderio di Gesù che lo Spirito soffi ancora sul mondo e che ci siano uomini e donne pronti ad aprire le vele perché questo soffio divino non sia imbavagliato ma spinga al largo la barca della Chiesa.

don Giuseppe Como

Novate Milanese, Parrocchia SS. Gervaso e Protaso, 27.04.2024