I diaconi della Pastorale della Salute e le relazioni umane

In questo periodo di difficili relazioni personali i diaconi impegnati nella Pastorale della Salute sono riusciti ad incontrarsi due volte in modalità di videoconferenza. Vi proponiamo i testi che sono nati dalle loro riflessioni.

Incontro del 17 marzo 2020

– Cristo, uomo in mezzo agli uomini, è il nostro punto di partenza e di riferimento: il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14). Il Dio vicino, il Dio con noi.

Ogni pagina del Vangelo ci testimonia Gesù che sta bene tra la gente. E’ un pastore che vive in mezzo al suo gregge.

Inizia da subito ad attorniarsi di amici, i dodici, che innanzitutto stessero con lui e che poi predicassero e scacciassero i demoni (Mc 3,13).

La sua vita è un continuo colloquio con i discepoli, la gente che lo ascolta e gli ammalati che lo cercano: la Sirofenicia, l’emorroissa, l’Indemoniato di Gerasa, il Cieco nato, il Padre del ragazzo epilettico, il Paralitico nella casa o presso la piscina di Betsaida, la Cananea, …

– Il nostro è il ministero della soglia, per accogliere e accompagnare colui che vuole entrare, ma anche per rimanere in compagnia di colui che preferisce starsene fuori, senza costringere nessuno.

Papa Francesco aggiunge che il diacono è il custode del servizio della Chiesa, fedele al servizio della Parola e dei poveri. Quindi al servizio del “dono che il Signore fa di sé agli uomini” e al servizio di ogni “piccolo” che ha, come prima necessità, quella di sentirsi persona con dignità e cura pari a quella di ogni figlio (Mt 25).

La Parola non avrà altro modo di diffondersi se non attraverso la nostra relazione, la cura e la vicinanza all’altro: non è nostro compito essere dei maestri. Inoltre le strutture pubbliche stanno diventando sempre più laiche e si diffonde una pluralità di fedi che prima non c’era; dovremo trovare un modo di collaborare con ministri diversi e incontrare fedeli diversi (che già troviamo), la relazione sarà il terreno comune su cui trovarci.

– Alcune domande contingenti.

  • Paura e senso di impotenza provati in questa fase, influiranno sulle nostre relazioni future?
  • Cosa cambierà nel nostro modo abituale di relazionarci? Non siamo abituati a vedere un viso senza labbra: sorriso, tristezza, dubbio, impazienza, complicità, come li esprimeremo? Solamente a voce? Con le mani? Ci manca un vocabolario.
  • Quando terminerà questo periodo, riprenderemo il nostro modo di relazionarci di prima o qualche cosa sarà cambiato anche dentro di noi? Nelle regole, nella società, con gli amici, in corsia? Avremo comunque imparato che non siamo una semplice aggregazione di individui, ma una comunità di persone dipendenti le une dalle altre?
  • Accadrà che le relazioni saranno ciò che pagherà il pezzo più alto di questa pandemia? Oppure questa esperienza sarà in grado di rinnovare le nostre relazioni?

 

Incontro del 25 maggio 2020

Salvo qualche eccezione, quasi tutti siamo stati tenuti lontani dal nostro luogo di ministero dal divieto di accesso applicato ai volontari, cui noi siamo assimilati. Questo ha comportato che ci si è posti più o meno le stesse domande, chiedendoci quali saranno le possibilità pratiche di re-instaurare una buona relazione quando si dovesse rientrare utilizzando necessariamente i dispositivi di protezione. Intanto, i diaconi hanno cercato di mantenere i contatti con i parenti delle persone ammalate o anziane ricoverate o hanno favorito i loro contatti con i parenti, al di là delle barriere poste dal virus e dalle normative.

Tutti noi riteniamo che il sorriso, lo sguardo e il tocco con le mani siano molto spesso veicoli per una buona relazione soprattutto con persone anziane: ora rischia di rimanere solamente lo sguardo poiché mani e bocca (metà viso) sono celati dai d.p. e lo stesso sguardo, senza bocca, rischia di perdere la sua visibilità. Ci si chiede, con una certa preoccupazione, come sarà possibile il riadattamento a questa nuova situazione.

Chi invece è rimasto in attività per lavoro o, in qualche modo, vi è rientrato assicura di aver ricevuto un’accoglienza insperata, soprattutto da operatori che prima facevano fatica a salutare. Sostengono che sembra esserci fame di accompagnamento come se la lontananza si fosse fatta sentire in positivo, proprio per la sua mancanza. Questo risulta interessante sottolinearlo perché gli operatori stanno uscendo da questo frangente piuttosto malconci da ogni punto di vista: dello stress emotivo, della fatica fisica, del rimanere impacchettati per giorni interi nei loro scafandri. Non ultimo il sentirsi impotenti e sconfortati dai risultati negativi o comunque mai concordi o allineati ai tentativi di cura praticati causa la non conoscenza del virus in corso.

Altra preoccupazione venuta a galla è se si riuscirà ancora a ritrovare gli agganci e le persone che prima aiutavano e, in qualche modo, ruotavano attorno alla cappellania.

Alcuni diaconi hanno raccontato di come sia cambiato il loro approccio all’interno delle strutture sanitarie, da un approccio selettivo che si rivolgeva in particolare a coloro che avevano già familiarità con il discorso di fede alla scoperta che importante è saper ascoltare tutti e imparare dalla sofferenza di ciascuno.

I diaconi impegnati nella Pastorale della Salute