Nessun obiettivo può essere raggiunto se si ha la pretesa di fare a meno di Gesù

Pentecoste 2018 – Accolitato

Noi vogliamo tutta la verità. Se stiamo celebrando con fede sincera l’Eucaristia, se siamo docili allo Spirito della Pentecoste, non ci accontentiamo di qualche scheggia di verità, di tracce di verità. Non ci adeguiamo a spezzoni di verità cui si alternerebbero echi di menzogna. Se siamo animati e guidati dallo Spirito, non ci basta riconoscere e ammirare passi di uomini e donne che si avvicinano alla verità. Desideriamo la verità tutta intera, per noi e per tutti: la pienezza della verità, la piena comunione di ciascuno con il Signore Gesù. “Il Paraclito vi guiderà a tutta la verità”.

Tutta la verità: il Paraclito non ci difende dal mondo, non ci sottrae dal mondo né ci preserva dalle sue persecuzioni e dalle sue tentazioni. Piuttosto, il Paraclito difende in noi la nostra verità di cristiani, difende Gesù Cristo, ne custodisce la verità, soffia in noi Gesù Cristo nella sua verità, le sue vere parole, i suoi veri gesti, il suo vero stile. Lo difende in noi, nella Chiesa, da ogni tentativo maldestro di menomarlo, di togliergli qualcosa o di aggiungergli qualcos’altro, di ridurlo a nostre immagini, confacenti a nostre sapienze e progetti, comprimendolo nella parzialità delle nostre parole e gesti, dei nostri “Si è sempre fatto così”: parzialità che mai può essere confusa con la pienezza della verità che è Gesù Cristo.

Come ci lasciamo guidare dallo Spirito alla verità tutta intera? Una via, certo non facoltativa, è quella tracciata dall’eco del proclama divino in questa solennità di Pentecoste: “Un’unica lingua, no!” (cfr. Gen 11). Vi scorgiamo un’attenzione evangelica che il mondo con i suoi tempi sta suggerendo alla Chiesa (alla nostra di Milano in particolare). Lo Spirito promuove nella Chiesa quella cattolicità della fede che consiste nell’adesione di ciascuno e di ciascuna gens all’unico vangelo secondo la propria particolare lingua. Non allora una lingua deputata ad assurgere a dire comunemente il vangelo, come in un sequestro culturale della fede apostolica e in un dispotismo coloniale sulla lingua altrui. Triste umiliazione di tanti che, nelle giovani Chiese, credono di dover immolare la loro lingua (tradizioni e cultura native) sull’altare di un vangelo europeo, italiano, lombardo: e si trovano costretti a storpiare e scimmiottare una lingua altrui (la nostra), quasi la propria lingua non possa apprendere l’abbecedario del Vangelo.

Senza diffidenze né preclusioni, la Chiesa dallo Spirito è istruita circa la reale possibilità di ogni lingua di accogliere e cantare il vangelo di Gesù. Per questo, la Chiesa «parla tutte le lingue e tutte le lingue nell’amore intende e comprende». Dove mancasse il senso della capacità di ogni lingua di cantare il Vangelo, rimarremmo prigionieri della parzialità del nostro modo particolare di leggerlo e cantarlo, di interpretarlo e praticarlo. Sarebbe grave indocilità al soffio dello Spirito che sospinge a tutta la verità di Gesù Cristo.

Invece, i differenti modi in cui le gentes ascoltano e praticano l’unico Vangelo fanno emergere di questo Vangelo potenzialità e ricchezze trascurate o persino sconosciute dai nostri modi consueti di ascoltare e praticare il Vangelo (in casa, sulle strade del mondo, nella liturgia, nella comunione fraterna…). Solo così ci disponiamo realmente all’opera dello Spirito: solo una Chiesa dalle genti è una Chiesa della verità tutta intera.

Accoliti! … “come ministri straordinari potrete distribuire l’Eucaristia a tutti i fedeli, anche infermi”. Distribuite fedelmente il Pane della Vita… A tutti! …ciascuno secondo la sua lingua; riconoscendo così e promuovendo ogni lingua capace, per grazia di Dio, di toccare la carne viva di Gesù e di cantarne la grazia e la dolcezza. Senza ingiungere ad alcuno di cambiare la sua lingua. Perché lo Spirito guida tutti alla verità intera, attrae tutti alla piena comunione con il mistero pasquale di Gesù, non a qualcosa di meno! E non si stanca. Nemmeno noi ci stancheremo, con tutti. Ciascuno con la sua lingua, la sua lingua etnica, ma anche la sua lingua di condizione di vita (l’uomo e la donna, il bambino e l’adulto, il povero e il ricco, l’ammalato e il vecchio, gli sposi e i celibi, fino a quanti hanno sperimentato fallimenti e camminano con una storia di separazioni e ferite…). Noi desideriamo per tutti la verità tutta intera. Poiché lo Spirito guida ciascuno a tutta la verità, guida tutti alla piena partecipazione al mistero pasquale di Gesù: e non si ferma. Ci fermeremo noi?

Don Mario Stefano Antonelli

Nessun obiettivo può essere raggiunto se si ha la pretesa di fare a meno di Gesù.

La stessa cosa vale anche per coloro che sono proiettati verso il termine di un percorso di formazione in vista dell’Ordinazione al Diaconato Permanente. L’accolitato non è quindi semplicemente una “tappa” del cammino, ma la comprensione più coerente che senza Gesù nessun servizio alla Chiesa può chiamarsi Ministero Ordinato.

Ho atteso con trepidazione il momento dell’istituzione ad accolito, perché è il modo in cui ho potuto toccare con mano la mia vocazione. Distribuire a tutti i fedeli la Santa Comunione è uno dei modi concreti con cui si possono parlare le lingue del mondo al giorno d’oggi. Come ha detto don Mario Antonelli nella sua omelia, il problema di oggi non è conoscere nuove forme linguistiche, ma cercare di parlare con il linguaggio di colui che si ha di fronte: la lingua di chi è solo, di chi è abbandonato, di chi vede il suo matrimonio crollare insieme alle sue certezze, di chi viene giudicato, di chi viene posizionato dalla maggioranza ai lati della società. Il linguaggio parlato dalle genti, il linguaggio personale di ciascun cristiano in cammino, o semplicemente, il linguaggio di chi non ha più nemmeno la voce per farsi ascoltare.

Non si può quindi pensare di riuscire a parlare questi nuovi linguaggi se non si mette in conto di parlare in nome di questa Chiesa che oggi più che mai sentiamo nelle sue diverse forme in cui si presenta: “Chiesa dalle genti”. E per parlare a nome della Chiesa bisogna – ancora una volta – passare da Gesù, dalla Sua concretezza, da ciò che è visibile e reale davanti ai nostri occhi, da Colui che è immensamente grande eppure durante la Santa Comunione si presenta piccolo, in una particola di pane distribuita a tutti coloro che si sentono Chiesa. E quell’aggettivo tutti ci impegna e ci interroga oggi più che mai.

L’accolitato mi ha fatto prendere maggiore consapevolezza di questo compito che mi viene richiesto: di ascoltare con la capacità che lo Spirito Santo vorrà donarmi coloro che chiedono di parlare, di ascoltare, di toccare Gesù.

Fabrizio Santantonio, neo-Accolito 

Imparare il linguaggio giusto

Confesso che fin dai tempi del catechismo mi accompagna l’idea che la dispersione delle lingue del racconto della torre di Babele sia una cosa brutta. Lavorando in diverse nazioni ho sentito certamente come un mito positivo la possibilita’ di comunicare con “un’unica lingua e uniche parole”. Non ho mai provato ad imparare l’esperanto, ma ho certamente invidiato chi nasce parlando inglese.

Oggi, sabato 19 Maggio 2018, non ho fatto in tempo a lasciare un attimo da parte i pensieri della settimana passata (la coda di cose incompiute al lavoro, il volto scavato di mia suocera che si prepara per il viaggio di ritorno, il timore che i figli non resistano alla lunga veglia di Pentecoste e si mettano a correre su e giu’ per la basilica di Desio).

Non ho fatto in tempo a fare un po’ di silenzio dentro (per cercare di ascoltare la voce dello Spirito, per fare mente locale sul ministero dell’accolitato che sto per ricevere) e don Mario -da par suo- mi spiazza: “guai a parlare una sola lingua – l’abbiamo fatto per troppo tempo – voi accoliti, lo dice il rito, dovete distribuire la comunione *a tutti*, giovani vecchi, sani e malati, e per tutti imparare il linguaggio giusto”.  Il linguaggio giusto: penso alla badante romena di mia suocera.   Ortodossa, si vede che crede nella Trinita’. Desidera la comunione e il mio parroco incoraggia questa comunicazione ‘in sacris’.  Ecco, devo proprio imparare come si dice ‘il corpo di Cristo’ in romeno (‘trupul lui Cristos’, scopriro’ poi).

Nel momento del rito di istituzione sento forte la vicinanza di chi mi accompagna nella preghiera e nel cammino. E il rito produce i suoi effetti: mi trovo a distribuire la comunione – non c’e’ dubbio, le mani tremano. Arriva Valeria – si vede bene che e’ commossa – il linguaggio giusto qui e’ un bacio speciale, quello che non abbiamo potuto scambiarci con il segno della pace…

Dopo la comunione sento cantare l'”adoro Te devote”. Come avra’ fatto il coro a sapere che proprio il testo di questo inno mi ha accompagnato e aiutato nella preparazione all’accolitato ? Mistero: ma a Pentecoste tutto e’ possibile.

Tempo di ri-immergersi nella vita a casa, al lavoro, in parrocchia e cercare davvero di ‘Te dulce sapere’, di lasciare quel sapore che non posso aver cucinato io. Viene, ho scoperto oggi, da una cucina molto “fusion”, dove tutti possono aggiungere il loro ingrediente segreto.

Francesco Prelz, neo-Accolito

Lo Spirito attrae tutti alla piena comunione

Non è ancora trascorsa un’ora  da quando Don Mario nella sua  appassionata omelia ci ha (ed, in particolare, mi ha) detto: “…. Come ministri straordinari potrete distribuire l’Eucaristia a tutti i fedeli….. distribuite fedelmente il Pane della Vita………lo Spirito attrae tutti alla piena comunione con il mistero pasquale di  Gesù…”  che ecco, con la pisside in mano, tremante, mi trovo a distribuire il Corpo di Cristo a persone particolarmente significative per me e che rimandano subito alle categorie da poco menzionate:  le mie due figlie – che hanno condiviso con gioia questa liturgia mettendosi a servizio come lettori – immagine dei giovani che devono essere guidati ed accompagnati all’incontro con Gesù per scoprire e capire la bellezza di un cammino insieme a Lui;  il fratellino affetto dalla sindrome di Alexander (che genera in  lui un comportamento simile all’autismo) del bambino di cui io e mia moglie siamo padrini di battesimo: per lui è stata la seconda Santa Comunione! E mentre gli appoggiavo la Santa Eucarestia sulla lingua tremolante pensavo alle sofferenze e difficoltà sostenute e da sostenere da questi genitori. Infine vedo una donna, da me ben conosciuta, che ha davvero sofferto tanto per molti anni a causa di una situazione matrimoniale “irregolare”, non potendo quindi accedere alla Santa Comunione, fino al giorno in cui l’impedimento era cessato.  Sono dei flash che per rapidissimi  istanti riempiono il mio pensiero mentre mi ritrovo a distribuire la Santa Eucaristia al corpo diaconale presente al rito: io, nella mia limitatezza e fragilità, nella mia infedeltà e debolezza, sono stato istituito accolito! La grazia e misericordia di Dio Padre mi hanno avvolto ed il mio cuore è colmo di gioia e gratitudine: l’anima mia magnifica il Signore!     Prego e credo che lo Spirito Santo – di cui oggi abbiamo celebrato solennemente la festa – con le parole di don Mario – “ soffi in me Gesù Cristo nella sua verità, le sue vere parole, i suoi veri gesti, il suo vero stile”.

Paolo Annoni, neo-Accolito

 

19 maggio 2018