La scomparsa del diacono Giorgio Oggioni

Questa mattina il Signore ha chiamato a sé il diacono Giorgio Oggioni, ordinato nel 2001; la fotografia lo ritrae nel giorno della sua ordinazione con il Cardinale Carlo Maria Martini, la moglie e le figlie.

La malattia che lo aveva colpito da qualche anno ha spento poco a poco la sua vita, che negli ultimi mesi ha condotto sempre nella propria casa, assistito sempre con paziente e amorevole cura dalla moglie Fernanda.

Ricordiamo la sua finezza e intelligenza, l’amore per la cultura e la dignità della persona, che non è venuta meno anche nel tempo della malattia.

Lo affidiamo all’abbraccio del Padre, che lo sollevi da ogni affanno secondo la sua promessa e gli doni la gioia dei santi.

Siamo vicini con la preghiera anche a Fernanda e alle figlie.

 

don Giuseppe

10 ottobre 2016

OMELIA DIACONO GIORGIO OGGIONI

 Le esequie di un vescovo, di un presbitero e di un diacono prevedono sempre la lettura di tre brani della passione di Gesù: il primo tratto dal racconto dell’Ultima Cena, il secondo da quello della morte, il terzo dai racconti di risurrezione. Il Vangelo di Luca ricorda – l’abbiamo sentito nella prima lettura – che durante l’ultima cena i discepoli discutono con Gesù sul diritto al primo posto, cioè sul criterio per identificare il più grande tra loro. Non sembrano aver capito molto del gesto con il quale Gesù ha offerto la sua vita. A loro Gesù si rivolge che queste parole: “Chi vuole essere tra voi il più grande sia il più piccolo e il servi di tutti”. E aggiunge: “Io sono in mezzo a noi come colui che serve”. La parola che qui Gesù usa per indicare il servitore è molto precisa: è la parola “diacono”. Il diaconato si comprende dunque alla luce del mistero dell’Eucaristia, cioè dell’offerta di vita compiuta da Gesù, dal suo sacrificio d’amore.

Salutando Giorgio noi salutiamo un fratello diacono, che – come più volte ripetuto nel cammino verso l’ordinazione diaconale – è stato chiamato a rendere immediatamente visibile nella Chiesa quello stile di servizio che è proprio del Cristo stesso. Al servizio del suo Signore, per il bene della Chiesa ma anche del mondo, Giorgio ha posto tutto se stesso: la sua personalità forte e – mi verrebbe da dire – fiera, la sua intelligenza vivace, la sua passione per la società e la cultura, la sua finezza di stile. Era consapevole di quanto fosse importante dialogare con il mondo contemporaneo, mostrare la verità del Vangelo non imponendola ma facendone cogliere la bellezza attraverso il linguaggio della contemporaneità, senza temere il confronto ma anzi promuovendolo, con un rispetto insieme sincero e cordiale. L’impegno nel MEIC e la Scuola di Teologia per Laici sono due ambiti precisi in cui questa passione si è fatta servizio, con le caratteristiche della generosità, della serietà e anche dell’eleganza.

 A questo vorrei aggiungere la testimonianza della vita familiare. Personalmente considero una grazia aver conosciuto le famiglie dei diaconi negli anni in cui ho accompagnato i loro cammini di preparazione e formazione. Tra i doni più preziosi che ho ricevuto dalla provvidenza di Dio vi sono senz’altro quello delle testimonianze del loro amore sponsale. L’amore di Giorgio per Nanda e di Nanda per Giorgio rientra senz’altro nel numero di queste preziose testimonianze. In modo più discreto ho potuto anche constatare l’affetto delicato di Giorgio per le figlie e quel suo simpatico compiacimento nel riconoscersi padre e anche un po’ patriarca di una famiglia che è progressivamente diventata una “grande famiglia”.

È poi arrivata la malattia, preceduta da avvisaglie preoccupanti e poi divenuta irreversibile e inesorabile. La fragilità e la debolezza di un uomo forte e fiero è emersa in modo tanto doloroso quanto sconcertante. Un contrasto che lasciava come smarriti. Disegni misteriosi di Dio che chiudono la bocca ad ogni tentativo di spiegazione e domandano soltanto un fede limpida e tenace. Così sono trascorsi gli ultimi anni della vita di Giorgio, in un’offerta enigmatica, che ha coinvolto insieme a lui la sua grande famiglia. La domanda che sorge in questo caso è la stessa che Gesù rivolge al Padre sulla croce, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura: “Dio mio, Dio mio, Perché mi hai abbandonato”; domanda che però introduce una preghiera – quella del Salmo 22 – che è contraddistinta da un senso di totale abbandono.

L’ultima parola che risuona nelle letture che la liturgia ci ha proposto per questa liturgia di congedo è quella della pace. Dice il Risorto ai suoi discepoli: “Pace a voi”. Non solo un saluto ma una vera e propria promessa. Meglio, il compimento di una promessa. “Sono qui in mezzo a voi – dice il Signore – per donarvi la mia pace”. È questa pace che noi ora domandiamo al Cristo risorto per Giorgio, per i suoi cari e per tutti noi: pace della visione per lui che è partito, pace della fede e della consolazione per noi che restiamo. Lo facciamo raccogliendo la sua eredità spirituale, di uomo che ha desiderato servire Dio nello slancio sincero di una mente vivace e di un cuore generoso.

+ Pierantonio Tremolada

Il ricordo del MEIC

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