Scomparsa del diacono Carlo Lehnus

Nei giorni scorsi il diacono Carlo Lehnus è tornato alla Casa del Padre.

Omelia nelle esequie di Carlo Lehnus

Ogni diacono porta con sé ed esprime un tratto particolare della figura diaconale, così che chi volesse conoscere realmente tale figura capirebbe di più non leggendo un libro o un articolo di teologia del Diaconato, ma contemplando il vissuto e la testimonianza dei diaconi, nella loro varietà e singolarità.

Quale tratto della figura diaconale ha particolarmente custodito il diacono Carlo Lehnus? Mi verrebbe da rispondere che ne ha testimoniato l’immagine a tutto tondo, che Carlo ha mostrato efficacemente come il Diaconato non sia semplicemente un mestiere, o un ruolo, o un compito da svolgere, tanto meno un hobby o una cosa da fare nel tempo libero, ma sia una vocazione e un ministero nella Chiesa assunto in modo globale, totalizzante. Questo non significa che Carlo abbia smesso di essere marito, padre, lavoratore, anzi quella testimonianza totalizzante è possibile solo se un diacono continua, come ha fatto Carlo, a vivere senza sconti la verità del suo matrimonio e della sua professione, nella consapevolezza che la figura diaconale risplende solo se queste dimensioni non vengono sacrificate ma anzi assunte ed esaltate dal ministero.

Così Carlo è stato anzitutto un diacono umanamente persuasivo, convincente: se dovessi individuare la caratteristica che mi ha sempre colpito principalmente di lui, direi che è la nobiltà della persona, la finezza del suo tratto, la sua gentilezza e signorilità. Viveva con questo stile il suo ministero diaconale presso la Casa Albergo di Sesto S. Giovanni, rendendo così gradevole il volto dell’accoglienza cristiana.

Amava con grande tenerezza la sua famiglia, anzitutto sua moglie Maria Teresa, la quale mi ha detto che anche con lei Carlo era molto gentile e le faceva molti complimenti: è una cosa abbastanza rara, bisogna riconoscerlo, noi uomini spesso dimentichiamo questa dimensione della tenerezza e nelle coppie, anche in quelle cristiane, è una delle mancanze di cui più spesso le donne rimproverano i loro mariti. Non Carlo, però! Quando sono andato a trovarlo a casa, prima del ricovero a Cadegliano Viconago, Maria Teresa mi disse che pregavano insieme, non essendo più in grado Carlo di recitare il breviario da solo.

La preghiera, ecco un’altra dimensione non banale e non formale nella personalità cristiana e diaconale di Carlo: era un uomo di preghiera, sia accostava frequentemente al sacramento della penitenza. Aveva anche un tratto che oserei dire, in questa chiesa retta dal Terz’ordine Regolare, genuinamente francescano: amava e onorava i preti, ci teneva a conoscerli e a salutarli, a far sentire loro la sua stima.

Carlo è stato anche un uomo che ha amato la natura, il creato, aveva una bella sensibilità artistica, amava scrivere e amava ascoltare musica. La malattia lo ha privato anche di questa bella abitudine, ma essa rimane a confermare l’umanità amabile e ricca che dava sostanza al suo ministero.

A me piace pensare che fosse in continuità con questa sua sensibilità per la bellezza anche la sua passione per la giustizia, che lo portava ad interessarsi e a schierarsi per i diritti degli oppressi, per le attese dei poveri, per il rispetto dei deboli. Aveva vissuto questa passione soprattutto nell’ambito del lavoro, quando difendeva e sosteneva i diritti degli operai alla Pirelli.

E poi è venuta la malattia, gli interventi chirurgici che l’avevano provato, i problemi neurologici che si sono manifestati negli ultimi tempi. Mi raccontava le traversie della salute con la consueta precisione e con il solito garbo, ma una volta che andai a trovarlo a casa lo trovai prostrato e mi ripeteva: “che prova durissima!”. Così Carlo è entrato nella prova della Passione e di lui si può ben dire quello che Gesù ha detto ai suoi discepoli durante l’ultima cena e che abbiamo ascoltato dal Vangelo di Luca: “voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove” (Lc 22,28). Forse nei momenti più difficili è sembrato a chi gli stava vicino, forse – chissà – a Carlo stesso, di condividere le stesse parole di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46).

Ma il Risorto è l’umanità di Dio glorificata, l’umanità di Dio che è per sempre nella luce del Padre, ed è bello scoprire come questa umanità sia ancora gentile e premurosa, che non cede al rancore e non coltiva desideri di rivalsa nei confronti di coloro che lo hanno abbandonato nel momento della prova. Carlo, che è passato per la “durissima prova”, si riconoscerà facilmente nell’umanità mite e riconciliante del Signore che ai suoi discepoli dice: “Pace a voi!” (Gv 20,19). E sarà ancora più felice di vedere come il Signore passa a servire proprio coloro che in questa vita hanno imparato da lui la vera diaconia: “Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27).

Così noi crediamo che la sua gioia sarà piena.

don Giuseppe Como

Milano 5 dicembre 2017