Pietro Di Carlo è tornato alla Casa del Padre

Il diacono Pietro Di Carlo, ordinato 2002 è tornato alla Casa del Padre, al termine di una lunga malattia.

Lo ricordiamo nella sua generosa dedizione al Ministero e nell’intensa vita familiare e lo affidiamo all’abbraccio del Signore, mentre chiediamo la consolazione dello Spirito per la moglie Anna e per i suoi figli.

17 giugno 2018

 

Omelia nelle esequie del diacono Pietro Di Carlo – Milano, 19 giugno 2018

E’ consuetudine che nelle esequie dei ministri ordinati si leggano i brani della passione e risurrezione di Gesù. Ho provato a chiedermi, semplicemente, come il diacono Pietro abbia vissuto e fatta propria la vicenda pasquale del Signore, in che modo le abbia reso testimonianza. L’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli è un momento culminante della sua comunione con loro: il clima di intimità di questa cena, mentre si prepara non solo il tradimento, ma anche la dispersione e la fuga dei Dodici, è straordinariamente intenso ed è suggellato per sempre dal dono eucaristico del Maestro. Il diacono Pietro ha vissuto in maniera particolarmente viva e convinta la fraternità nel ministero, l’esperienza dell’appartenenza al corpo diaconale. L’ha vissuta per esempio come membro del Consiglio della Comunità del Diaconato in Italia, l’associazione che riunisce i diaconi italiani e promuove la figura e il ministero del diacono nelle nostre diocesi. L’ha vissuta, più vicino a noi, con la responsabilità del collegamento tra i diaconi della zona I, della Città, e quindi attraverso l’organizzazione dei giovedì diaconali, degli incontri di zona con il Vicario episcopale, ma anche attraverso il servizio della fraternità concreta, dell’interessamento per la situazione degli altri diaconi, della vicinanza nei frangenti difficili. L’aggravamento della malattia che poi l’ha portato alla morte è cominciato circa un mese fa, proprio in occasione del Giovedì diaconale di zona che si è svolto nella parrocchia di S. Martino a Lambrate. Un altro diacono milanese così mi ha scritto ricordando l’atteggiamento di Pietro quella sera: «Ci ha stimolati, nel vivace approfondimento del tema, condividendoci la necessità di ricordarsi e di contattare i confratelli diaconi che non partecipano ai nostri incontri, per vivere in particolare con loro “l’arte del buon vicinato”, per non farli sentire soli nelle loro difficoltà fisiche, spirituali o del ministero». E concludeva la mail sintetizzando così la figura del diacono Pietro: «Un chiaro esempio di fratello buono: nel servizio e nella vita». Pietro si è sempre molto interessato dei suoi confratelli. Qualche anno fa mi scriveva che aveva invitato un suo confratello a venirlo a trovare in Duomo, dove Pietro svolgeva un prezioso servizio di ascolto: «Abbiamo avuto un lungo colloquio, anche se in realtà ho lasciato che fosse lui a parlare perché è questo il mio compito in quella sede». Pietro è stato in quella occasione generoso ma anche schietto, sincero: «Gli ho dato alcune mie disponibilità e messo in dubbio alcune sue proposte». Da quel colloquio nacque in Pietro la proposta di un ulteriore incontro da tenersi nella parrocchia del confratello, per condividere con altri diaconi che avessero avuto piacere la discussione di problemi e proposte. L’idea di incontrarsi nella parrocchia del confratello nasceva in Pietro a partire dalla «problematicità che egli sembra incontrare nel rapportarsi con i suoi preti. Credo che questo potrebbe essere un modo per aiutarlo a sbloccare un poco alcune cose che sembrano inamovibili. Il fatto che dimostra una certa propensione a confidarsi con me, oltre che con alcuni altri, mi dà la possibilità di poter fare piccoli passi per una maturazione che a volte sembra problematica». E concludeva chiedendomi: «Hai dei suggerimenti da darmi per un futuro rapporto costruttivo con lui?». Nel racconto dell’ultima cena, Luca – come abbiamo ascoltato – inserisce l’episodio poco edificante della discussione che sorge tra i discepoli su “chi di loro poteva essere considerato il più grande”; questo particolare non poco imbarazzante dà però l’occasione a Gesù di insegnare ancora una volta, e nel momento supremo, il senso e il valore del servizio: “chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve”. Il diacono Pietro amava servire, anzi, in più di un’occasione ha mostrato di amare che il servizio fosse fatto bene, faceva proposte miranti a migliorare il servizio, in particolare il servizio dei diaconi milanesi. Così negli anni mi ha interpellato più volte invitandomi a perseguire la cura della formazione liturgica dei diaconi, della proclamazione del Vangelo e del canto, ha proposto che nell’Anno Giubilare della Misericordia i diaconi potessero visitare i “fratelli detenuti” nel carcere di S. Vittore. Ma lui per primo ha goduto della possibilità di svolgere il servizio della carità, in particolare nell’ascolto delle persone in Duomo. In una mail toccante del dicembre 2016 Pietro ha voluto farmi partecipe di un “miracolo di conversione”, un “dono di Natale inaspettato” di cui era stato spettatore e protagonista nell’ascolto di una giovane ragazza che dichiarava di aver perso la fede, che non sapeva più in cosa credere. Pietro l’aveva ascoltata e, sentendosi coinvolgere non solo come diacono ma come padre, le aveva riaperto gli occhi sul volto paterno del Dio di Gesù Cristo, terminando con la recita insieme del Padre nostro. Lasciando la sua postazione al termine del suo turno, aveva gustato la gioia di vedere quella ragazza inginocchiata in una panca in preghiera. Pietro, lo sappiamo, ha vissuto la passione del Signore nella malattia che l’ha colpito circa due anni fa. Anche riguardo alle sue condizioni di salute mi informava regolarmente, chiedendo qualche volta anche di condividere con gli altri diaconi le sue comunicazioni. In particolare, in una mail del gennaio 2017, scritta in un momento nel quale sembrava che il suo corpo rispondesse bene alle cure e alla terapia cui era stato sottoposto, mi confidava con commozione la sua convinzione che questo dovesse essere attribuito anche alle preghiere di tanti diaconi, presbiteri e fedeli cristiani. L’esperienza della malattia gli aveva permesso di fare «una scoperta di vicinanza e di bene che non immaginavo di queste dimensioni verso la mia persona. Non immaginavo che la gente mi volesse tanto bene». Intanto, anche il suo rapporto con il Signore era diventato «più confidenziale e spontaneo» e gli aveva dato modo di esprimere tutta la sua gratitudine anche nella situazione di malattia: «E io mi sento amato da Dio e dagli amici». La fraternità che tanto aveva vissuto e coltivato ora ritornava abbondante verso di lui, come una dolce consolazione nella prova. Il Signore risorto compare in mezzo ai suoi discepoli e dice: “Pace a voi”. La pace di Gesù è frutto della comunione, del servizio e della fortezza di fede nella prova. Credo che possiamo ascoltare anche in questo momento queste parole dal Signore che è vivo e presente in mezzo a noi. E forse non sbagliamo se pensiamo che sono le stesse parole che il diacono Pietro ci rivolge: “Pace a voi”. Le rivolge ai suoi confratelli diaconi e prima ancora a sua moglie Anna e ai suoi figli e ai suoi amati nipoti. Quando sono andato a trovarlo qualche settimana fa, quando già le sue condizioni di salute si erano fatte complicate, Pietro aveva trovato la forza e l’entusiasmo di parlarmi dei festeggiamenti che i suoi cari gli avevano organizzato in occasione del suo 75° compleanno e aveva voluto a tutti i costi che vedessi il cartellone coloratissimo che i suoi nipoti gli avevano dedicato. La dolce e forte pace del Signore senza dubbio raggiunge anche noi, attraverso la testimonianza, la vita, l’affetto del diacono Pietro.

don Giuseppe Como