Ordinazioni Diaconali 2016

Arcidiocesi di Milano

Ordinazioni Diaconi permanenti

Es 3,7-12; Sal 84; 1Cor 1,26 – 2,5; Gv 15,12-17

Basilica di S. Ambrogio, sabato 12 novembre 2016 ore 10.30

Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano

 

  1. «Noi voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Vangelo, Gv 15,16). Carissimi Stefano e Gabriele, carissime spose e famiglie degli ordinandi, siete venuti questa mattina – accompagnati dalle vostre comunità d’origine, dai confratelli diaconi e dai presbiteri della Diocesi – per accogliere con gratitudine e responsabilità questa scelta che il Signore fa, attraverso la Sua Chiesa, delle vostre persone. Siete in tal modo presi a servizio della comunità cristiana nel ministero del diaconato permanente.

Il gesto sacramentale che stiamo per compiere nasce proprio da questa volontà di Gesù di associare gli uomini – in legame di amicizia «voi siete mie amici» (Vangelo, Gv 15,14) – alla Sua missione salvifica. Una elezione, quella al ministero diaconale, che costituisce un ulteriore passo della storia di preferenza che il Signore ha vissuto con voi e che porterà definitivamente a compimento nella vita eterna. Una storia che ha origine con il dono dell’esistenza, come dice la bellissima preghiera del Beato Paolo VI che avete voluto condividere con tutti noi: «Ricordati che tu mi hai suscitato alla vita». Una storia proseguita con la grazia dei sacramenti dell’iniziazione cristiana e con quella propria del matrimonio sacramentale. Una storia che, come dicevo, oggi vi fa compiere un passo molto significativo, siglato dal vostro personale e sostenuto da quello delle vostre spose, dei vostri figli e dei vostri cari.

  1. Qual è il tratto specifico con cui il Signore sceglie ciascuno di noi? L’assoluta gratuità: Egli ci sceglie prima ed oltre ogni nostro merito. Le espressioni dell’Apostolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, sono in proposito inequivocabili: «Quello che è stolto per il mondo… quello che è debole per il mondo… quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla…» (1Cor 1,27-28). Solo l’ingenuità o la superficialità con cui spesso viviamo possono farci dimenticare perfino che non ci diamo l’essere da noi stessi e che in questo preciso momento un Altro – per puro amore di misericordia – ci sta strappando al nulla e ci sta donando di continuare ad esistere. Dio ha amato la fragile ed imperfetta persona di ognuno di noi chiamandoci ad essere co-agonisti, collaboratori, del Suo disegno di salvezza.

Perché?

  1. Carissimi, per rispondere a questa domanda è necessario fissare lo sguardo sullo scopo della vocazione. Il Vangelo di Giovanni lo dice con chiarezza: siete scelti «perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Vangelo, Gv 15,16). Il ministero o il servizio a cui siete chiamati si riassume così nel comando (in pochi versetti la parola è ripetuta tre volte..!) dell’amore, nella desiderata immedesimazione con il dono di sé che Gesù, nostro Signore, compie.

«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Vangelo, Gv 15,13). Nel dono personale e libero delle nostre deboli vite – «mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione» (Epistola, 1Cor 2,3)… «manifestazione dello Spirito e della sua potenza» (1Cor 2,4) – si compiono, carissimi Stefano e Gabriele, le vostre persone.

  1. I diaconi sono chiamati a comunicare, attraverso il loro specifico ministero, la carità di Dio verso il Suo popolo e tutti gli uomini. «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido (…) conosco le sue sofferenze» (Lettura, Es 3,7): servire la carità di Dio è, innanzitutto, portare il Suo sguardo di compassione sui bisogni dei nostri fratelli uomini. Tutti noi siamo ben consapevoli della necessità di convertire il nostro sguardo. Troppe sono le volte in cui distogliamo lo sguardo dal bisogno degli uomini, in cui ci difendiamo e facciamo finta di niente, in cui resistiamo a coinvolgerci con il grido di chi ci sta attorno, soprattutto dei più poveri ed emarginati. È una provvidenziale coincidenza che proprio domani si svolga il Giubileo dei carcerati. E in tante occasioni lo facciamo perché schiacciati dalla nostra indegnità: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire gli Israeliti dall’Egitto?» (Lettura, Es 3,11). È giusto avvertire questa sproporzione: davanti alle sofferenze degli altri, ma anche davanti alle nostre sentiamo l’urgenza dolorosa di qualcuno che ci liberi. Dio stesso si fa carico del nostro grido e vi risponde: «Io sarò con te» (Lettura, Es 3,12). Seguiamo il più possibile i richiami e i gesti di Papa Francesco

In questa promessa del Signore sta tutta la speranza della Chiesa e dei suoi ministri. Non siamo noi a salvare gli uomini. È Dio stesso, con il dono del Suo Figlio morto e risorto per noi, che si prende cura del Suo popolo. E ci chiama al servizio di quest’opera di salvezza perché diventiamo il Suo sguardo, il Suo cuore, le Sue mani in mezzo ai nostri fratelli uomini. Egli porterà a compimento la Sua opera e di noi si potrà dire ciò che il Salmo ci ha fatto ripetere: «Beato l’uomo che in Te confida, Signore» (Sal 84).

  1. Carissimi, nel nuovo Anno Pastorale appena iniziato ci siamo richiamati, insieme a tutti i fedeli della nostra Diocesi, ad avere in noi i Suoi medesimi sentimenti e la mentalità di Cristo. Ci sprona l’attesa della visita del Santo Padre.

All’intercessione di Sant’Ambrogio e della Vergine Santissima, maestra di carità, affido voi, le vostre famiglie ed il vostro ministero. Amen.