L’Arcivescovo incontra i diaconi

Si è svolto sabato 31 agosto il tradizionale incontro con l’Arcivescovo.

Sua Eccellenza mons. Mario Delpini ha voluto approfondire il tema della Lettera Pastorale per l’anno che si affaccia:

Cosa basta a un diacono?

A che cosa deve dire: “Basta!” un diacono?

 

Propiziare, proporre, praticare le vie della grazia.

Il duro rimprovero che il Signore rivolge a Paolo, apostolo infaticabile, ma irritabile e insofferente, fa pensare. In un certo senso anche la Chiesa Ambrosiana e, in essa i ministri ordinari, si presentano come infaticabili, irritabili, insofferenti. Perciò può risultare pertinente lo stesso rimprovero: ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza (2Cor 121,9).

A quanto pare Paolo ha fatto propria la parola del Signore: mi vanterò quindi ben volentieri della mia debolezza, perché dimori in me la potenza di Cristo.

La proposta è di assumere questo criterio come principio per la formazione dei diaconi e come ispirazione per l’azione pastorale.

Il tema della formazione in genere e della formazione permanente dei diaconi è particolarmente complesso perché si tratta di uomini adulti, con molte esperienze e competenze, con situazioni personali e familiari molto diverse. La conclusione scoraggiata che dichiara inutile e improduttiva la formazione permanente induce a un atteggiamento di impermeabilità e a scelte di diserzione. Non sembra però coerente con la fiducia nello Spirito di Dio che abita in noi.

Rinnoviamo la persuasione che il Signore merita fiducia e che è essenziale per vivere accogliere la vita che Gesù ci dona. La celebrazione eucaristica e l’anno liturgico nel suo complesso è la manifestazione più intensa e riconoscibile del desiderio di Dio che noi “facciamo questo in memoria di lui”.

Basta quindi “celebrare la messa”!

La sfida che i diaconi, in quanto ministri ordinati, potrebbero assumere è di curare, insieme con il gruppo liturgico e il presbitero le condizioni che possono contribuire a rendere evidente che la comunità “nasce dall’Eucaristia” e dalla celebrazione eucaristica riceve la sua forma. La cosa non sembra così evidente. Che cosa può fare un diacono perché il segno sia riconoscibile?

Alcune attenzioni forse sono praticabili: l’invito rivolto a tutti, perché può capitare che gli invitati “non ne erano degni” (cfr Mt 22,8) e il Signore manda i suoi servi a chiamare tutti; l’accoglienza cordiale che consenta di percepire che c’è una comunità che si raduna; il congedo e la “pratica del sagrato” per un accompagnamento all’”uscita in missione”, (oltre che per un commento e una risonanza sulla parola ascoltata …).

Dall’Eucaristia la comunione per la missione.

I ministri ordinati costituiscono il clero diocesano che assume la responsabilità della missione della Chiesa in questo tempo, in questo territorio, in questa situazione.

La situazione in cui viviamo si può forse descrivere come un convergere di molti pensieri, atteggiamenti, linguaggi, che inducono a fare a meno del Dio di Gesù Cristo. I discorsi “su Dio” si rivelano eventualmente generici e incompatibili con la rivelazione cristiana e il messaggio evangelico.

Il percorso e le scelte che sono state compiute in questi anni nella nostra Chiesa sono sempre state motivate dalla retorica della missione, ma praticate, per lo più, come faticosi aggiustamenti organizzativi.

La sfida che i diaconi possono assumere potrebbe essere quella di comprendere e praticare la missione e animare l’intera comunità per essere annuncio di vangelo, cioè la rivelazione di Dio Padre da parte del suo Figlio unigenito, Gesù Cristo. Non solo l’impegno familiare e professionale dei diaconi è contesto ineludibile della testimonianza-missione, ma anche la partecipazione attiva e spesso propositiva negli organismi di partecipazione sinodale è una forma provvidenziale di collaborazione con la missione della Chiesa e le indicazioni del Vescovo. L’assemblea sinodale decanale, la segreteria decanale, i consigli pastorali sono contesti in cui i diaconi che ne sono membri possono essere presenze esemplari e trascinanti.

Certo il presupposto è che ci sia una formazione per comprendere la fede cristiana, nella professione nicena, e per intravedere percorsi di annuncio, di primo annuncio, di ascolto di quello che lo Spirito dice alle chiese.

“Basta!”

L’esclamazione dell’insofferenza per chi ha responsabilità non può essere solo lo sbottare dell’esasperazione, piuttosto è per dichiarare una presa di posizione che si confronti con le domande, che si proponga azioni o almeno tentativi.

  • L’arte di riposare.

L’impressione di una stanchezza diffusa, che può oscurare la letizia, segnala forse una percezione di insostenibilità del cumulo degli impegni che incombe su persone e comunità, insieme con la frustrazione per l’inconcludenza e l’inutilità empiricamente rilevabile.

La sfida che i diaconi possono raccogliere per attuare le indicazioni della proposta pastorale nel contesto dell’anno giubilare potrebbe essere quella di suggerire e praticare l’arte di riposare, nel mese di gennaio e in genere nella programmazione della vita pastorale della comunità di appartenenza.

  • La banalità del peccato.

L’abbandono della pratica penitenziale nel sacramento della riconciliazione-confessione-penitenza segna la sensibilità contemporanea in conseguenza, a quanto si può pensare, dell’abbandono del riferimento al Signore Gesù e alla rivelazione cristiana a proposito del Padre. Diventa spontaneo ritenere il peccato una banalità, mentre il senso di colpa e il “non stare bene con sé stessi” si ingigantiscono fino a proporzioni patologiche.

La sfida che i diaconi possono raccogliere è anzitutto la risposta alla chiamata alla conversione che la Parola di Dio continua a rivolgere a ciascuno e che può rinnovare la pratica della confessione nel percorso personale e nella vita comunitaria.

  • La censura del tema della pace e la rassegnazione alla guerra guerreggiata.

Il disastro che le guerre stanno provocando trova una sensibilità incline alla rassegnazione e alla deresponsabilizzazione. Un senso di impotenza e un linguaggio pubblico che ha censurato il tema della pace congiurano nel ridurre le guerre a notizie di cronaca che scorrono via sulla diffusa insensibilità impermeabile.

La sfida che i diaconi possono raccogliere, secondo le responsabilità di cui sono investiti, è di essere uomini di pace, di guardare con attenzione, sollecitudine e simpatia ai germogli di pace, di promuovere iniziative per una cultura di pace. La cultura della pace può essere considerata come un tema sproporzionato alle buone intenzioni. Eppure ci sono competenze, esperienze, interpretazioni dell’economia, della politica, della comunicazione di cui i diaconi possono fare dono per dichiararsi tra i figli di Dio, operatori di pace.

Sua Eccellenza Mons. Mario Delpini

Arcivescovo di Milano

Seveso, 31 agosto 2024