Il nuovo viaggio del diacono Osvaldo

Il diacono Osvaldo Puppin ci ha lasciati nei giorni scorsi per fare ritorno alla Casa del Padre, pubblichiamo l’omelia del Rettore del Diaconato contenente il suo ricordo:

Omelia nelle esequie di Osvaldo Puppin

«La “mia storia” mi ha portato in giro per il mondo; sono agronomo, e attività missionarie si erano intrecciate per molti anni con gli impegni di lavoro, rendendomi sensibile alle svariate culture locali incontrate e stimolandomi ad apprendere diverse lingue, per meglio comunicare con la gente». In queste poche righe, tratte da un articolo pubblicato sulla rivista del Seminario La Fiaccola, c’è in sintesi il diacono Osvaldo Puppin, almeno per come l’ho conosciuto, e chiedo scusa alla famiglia se conosco ben poco di Osvaldo marito e padre.

Osvaldo è stato un diacono che ci ha insegnato la mondialità, intesa come conoscenza, curiosità, interesse autentico per altre culture, con le quali Osvaldo desiderava interagire, comunicare e per questo si impegnava ad imparare le lingue (spessi mi citava qualche termine o qualche espressione in arabo…). Un diacono che ci lascia in eredità una spiccata sensibilità missionaria, che lui viveva, così mi pare di avere capito, soprattutto come ricerca di comunione e di quel senso di Dio, senso del trascendente che c’è in ogni cultura e in ogni religione e forse in ogni persona, per trovare un terreno comune, dei luoghi di intesa, un modo per pregare insieme. Osvaldo raccontava che quando percorreva la parrocchia ed entrava nelle case per la benedizione natalizia, era felice di incontrare famiglie musulmane che gli aprivano la porta e che accettavano di fare insieme una preghiera all’Onnipotente («un termine – scriveva Osvaldo – che bene esprime Dio e Allah, senza che ognuno di noi rinunci alla sua storia e alla sua fede»: parole che dimostrano come egli fosse lontano da qualsiasi forma di sincretismo religioso) o al Misericordioso, che è uno dei nomi più belli di Dio, anzi forse “il” nome di Dio, come ci sta insegnando papa Francesco, invocando insieme il dono della pace. Per questo, credo che l’immagine che i figli hanno scelto nella prima lettura di questa Messa, dal profeta Isaia, esprima perfettamente il sogno che fu anche di Osvaldo: “Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati” (Is 25,6).

Anche il modo con cui Osvaldo vedeva la sua città, San Donato, coglieva subito la presenza in essa di una rilevante componente di stranieri, che lo sollecitava a trovare vie originali per il proprio ministero: «il mio essere lì doveva avere un senso anche per quei fratelli immigrati. E’ così scaturita una attività “diaconale” non formalmente indicata nei documenti di nomina (anche se i superiori ne sono stati costantemente messi al corrente); è nato un interesse, un ascolto verso tante persone che da lontano erano approdate in appartamenti vicini al mio».

Anche l’esperienza dei pellegrinaggi a Lourdes, che non l’avevano mai entusiasmato, come ammise in un altro articolo scritto per Fiaccola, ma che a partire dal giugno 2007 – quando vi andò nel decimo anniversario della sua ordinazione diaconale «cedendo alle insistenze» di sua moglie Marina – diventarono per lui un appuntamento annuale imperdibile, Osvaldo la rileggeva come il dono di poter incontrare persone diversissime, con storie differenti, unite dalla condivisione del dolore, della malattia e poi della speranza e della fede: «Lourdes non è solo ricerca di grazia […], per me Lourdes è stimolo a condividere la mia realtà, di sano, di ammalato, abile o diversamente abile […]. A Lourdes ti ritrovi sommerso da una moltitudine di persone, di ogni etnia, cristiani e non […]. Una torre di Babele al contrario, cinesi, coreani, indiani, africani, americani sia ‘latinos’ che ‘gringos’, irlandesi e spagnoli….tutti sembrano parlare una stessa lingua… Differenze, accettazione, tentativi di condividere, rispetto delle radici di ognuno, universalità…».

Osvaldo era un uomo sempre in movimento, se non era fisicamente in viaggio, lo era con la mente, con lo spirito. Per questo, assume un significato particolare, a prima vista molto amaro, la sorte che gli è capitata durante la malattia di essere costretto all’immobilità in un letto, dove la sua mente sembrava viaggiare altrove. “Siamo pieni di fiducia – abbiamo ascoltato da san Paolo – e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore” (2Cor 5,8): nei giorni della malattia, sembrava quasi un corpo estraneo, che Osvaldo abitava come se non fosse il suo, come se non gli rispondesse più, formulava un pensiero e la voce esprimeva altre parole, altri concetti. Un’esperienza drammatica, ma la fede ci aiuta a leggere in quella condizione che Osvaldo viveva non tanti i segni di un corpo “in disfacimento” (cf 2Cor 5), quanto piuttosto le anticipazioni, le avvisaglie di un altro corpo; come se Osvaldo ci dicesse che stava già lasciando questo corpo mortale, “nostra dimora terrena”, per prepararsi a ricevere un corpo nuovo, “un’abitazione da Dio, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli” (2Cor 5,1).

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci ha parlato di vigilanza, ci ha invitato a stare svegli, pronti: uno dei modi con cui Osvaldo ha vissuto questa vigilanza è forse la sua abitudine di fare collezioni. Collezionava di tutto, quasi avesse una sete insaziabile di raccogliere frammenti di umanità, di verità da ogni parte, per cercare di comporre in qualche modo, nella maniera meno approssimativa possibile, il grande puzzle della vita, il grande mosaico che è la vita.

Ma la raccolta più significativa, quella che Osvaldo ha maggiormente condiviso con i suoi confratelli diaconi e con molte altre persone è stata il suo “Sguardo sul mondo”, una specie di enciclopedia continuamente aggiornata di notizie provenienti da ogni parte del mondo, ma in particolare dai Paesi del Sud del mondo, dall’Africa e dall’America latina, ma anche dall’Asia e dal Medio Oriente, dai Paesi di missione, una raccolta di dati da leggere “in pillole”, come lui stesso suggeriva, da consultare con intelligenza, con informazioni spesso di prima mano raccolte dai missionari o dagli operatori umanitari. Un lavoro che testimonia un interesse inesausto per i temi sociali, le migrazioni, i conflitti, l’ecologia, le culture minacciate o minoritarie, la condizione delle donne, il dialogo interreligioso…

Adesso noi immaginiamo Osvaldo con lo sguardo immerso nello sguardo di Dio sul mondo, lo crediamo nella terra dove tutte le differenze sono rispettate e riconciliate. Credo che Osvaldo avrebbe sottoscritto come suo “testamento spirituale” le parole del “testamento” di frére Christian de Chergé, priore martire di Tibhirine, in Algeria, parole che egli conosceva e amava: «Ecco che, se piace a Dio, potrò immergere il mio sguardo in quello del Padre per contemplare con lui i suoi figli dell’Islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre quella di stabilire la comunione e ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze».

don Giuseppe Como

S. Donato Milanese, 7 settembre 2017

Ecco i significativi articoli pubblicati sulla rivista La Fiaccola:

Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio.

Nella lettera di destinazione, trasmessa mi dall’Arcivescovo, il cardinal Martini all’atto dell’ordinazione diaconale, mi veniva indicato un impegno per la pastorale missionaria a livello diocesano e decanale ed uno per la pastorale familiare a livello parrocchiale.

Colgo oggi, come particolarmente aderente al cammino svolto in questi sei anni di esperienza nel ministero, quanto il cardinal Tettamanzi indicava a noi diaconi durante l’incontro del maggio 2003, sollecitandoci ad una attenzione alle povertà emergenti nel contesto in cui si è inseriti, anche superando le indicazioni “formali” dell’incarico affidatoci.

La “mia storia” mi ha portato in giro per il mondo; sono agronomo, e attività missionarie si erano intrecciate per molti anni con gli impegni di lavoro, rendendomi sensibile alle svariate culture locali incontrate e stimolandomi ad apprendere diverse lingue, per meglio comunicare con la gente. Da svariati anni risiedo a San Donato, cittadina con una presenza straniera rilevante, e questo fatto non poteva quindi essere un caso; il mio essere lì doveva avere un senso anche per quei fratelli immigrati. È così scaturita una attività “diaconale” non formalmente indicata nei documenti di nomina, (anche se i superiori ne sono stati costantemente messi al corrente); è nato un interesse, un ascolto verso tante persone che da lontano erano approdate in appartamenti vicini al mio.

Molti di loro sono fratelli nel cristianesimo, come le domestiche filippine, i portinai cingalesi, le infermiere peruviane e le badanti ecuadoregne, i manovali ed i tecnici africani, le famigliole ortodosse degli operai rumeni…

Altre persone, che incontro al supermercato, o alle riunioni in Comune, e anche nelle loro case in occasione della benedizione natalizia, sono senegalesi, egiziani, marocchini, libici, sudanesi… sono islamici con cui condividiamo la fede nell’unico Dio di Abramo.

I mesi di novembre e dicembre in questi ultimi anni coincidono con il Ramadan ed è proprio con loro, in occasione delle benedizioni delle famiglie, che, dopo il rituale augurio “Ramadan el  karim”, riusciamo a pregare assieme l’Onnipotente per la pace (Onnipotente, un termine che bene esprime Dio e Allah, senza che ognuno di noi rinunci alla sua storia ed alla sua fede). Ricordo ancora con commozione lo stupore e la gioia di tre ragazze che condividevano lo stesso appartamento, una nigeriana cattolica, una algerina islamica ed una cinese buddista, e che erano solite pregare ognuna per proprio conto nella propria stanza; attraverso la visita natalizia hanno scoperto che era possibile avere anche un momento di preghiera comune!

La parrocchia in cui opero è vivace, sensibile: la Caritas ed il Centro Aiuto alla Vita sono attivi nel seguire chi necessita di solidarietà materiali; ma io coglievo una povertà più sottile che derivava dalla scarsa capacità della parrocchia ad offrire un aiuto anche spirituale a tante persone…

Un filippino impara un vocabolario di italiano essenziale per il suo lavoro, ma i valori religiosi sono meglio percepiti se espressi nella propria lingua; grazie alla presenza di un sacerdote loro connazionale, ed alla collaborazione con la Cappellania dei Migranti è stato possibile garantire loro, almeno una volta al mese, una celebrazione eucaristica in lingua tagalog a livello cittadino. Anche la preparazione ai Sacramenti (Battesimo, Matrimonio) viene, se necessario (ed è il più delle volte), personalizzata.

Da cinque anni, è ormai tradizione quasi consolidata, la parrocchia riesce ad esprimere anche momenti di fratellanza più ampia quali la Festa delle Genti a Pentecoste (mediamente vi partecipano tra quindici e venti nazionalità diverse, tutte presenti sul territorio) ; una liturgia animata da canti, danze, preghiere, segni talora estranei ma, se spiegati, pur sempre comprensibili alla nostra mentalità. Da quattro anni anche le autorità civili locali si sono attivate in tal senso, promuovendo un week-end cittadino denso di manifestazioni. Sono iniziative che, sia pur partendo da spunti per lo più emotivi, stimolano la conoscenza del “vicino-diverso” in un’ottica positiva. E… conoscenze non solo tra italiani e stranieri ; quando con gli ortodossi rumeni (e russi) abbiamo concelebrato, con rito ecumenico, la benedizione dell’acqua, tale cerimonia ha risvegliato una profonda partecipazione anche nei latino-americani…

In questo contesto, oltre ad essere attento a cogliere le esigenze ed a stimolare iniziative, quale è il compito come diacono? Come servire? Lo sforzo è quello di mettere a disposizione la “mia storia”, il “mio vissuto”, i “doni che Dio mi ha voluto dare” con pazienza, attento ai più deboli, cercando di mediare le frequenti incomprensioni che emergono, ad ogni livello, quando si parte da storie culturali totalmente diverse.

Si tratta di essere attento a situazioni di disagio, sovente familiare, che scaturiscono dalla lontananza, dal sovraffollamento degli alloggi (inevitabile per dividere i costi esorbitanti richiesti), prima ancora che dalla cattiva volontà all’interno delle coppie, e qui, la mia situazione di sposato talora consente confidenze a me e a mia moglie Marina più immediate di quelle che devono poi verificarsi con il sacerdote…

Si tratta  di avere  un’attenzione  particolare anche per quei fratelli, per lo più latino-americani e filippini, che ora sono impegnati in qualche chiesa (setta?) particolare, perché non li abbiamo opportunamente ascoltati a suo tempo, e che ora si sentono a disagio… Si tratta di stimolare l’integrazione dei molti stranieri residenti, di convincerli che i loro diritti non debbono e non possono essere calpestati, da persone che, purtroppo, talvolta ti ritrovi nella stessa comunità parrocchiale…

Si tratta di pensare in termini nuovi alla seconda generazione, bimbi gialli e neri all’asilo, compagni dei miei nipotini, che parlano italiano, ma che non debbono  perdere la coscienza delle proprie radici…

Un’esperienza ricca, entusiasmante, anche se sovente faticosa …

Il rischio? Quello di sentirmi protagonista, e non servo, servo di Colui che, attraverso di me vuole comunicarci che siamo tutti fratelli, qualunque sia il colore della nostra pelle o il lavoro che svolgiamo; il rischio è di dimenticare che è Lui, e non sono io, ad essere il Salvatore di ciascuno di noi.

 diacono Osvaldo Puppin

La Fiaccola –  Gennaio 2004

Lourdes non è solo ricerca di Grazie

 Tutto ha avuto inizio 7 anni fa. Benché originario della parrocchia di S. Maria di Lourdes (con benedizione agli ammalati, impartita ogni anno dai vari cardinali, ricordo ancora, avevo 6-7 anni, la figura ieratica di Schuster, le prediche di Montini…), i pellegrinaggi non mi avevano mai entusiasmato, ma in quel giugno 2007, decimo anno dall’ordinazione diaconale, cedetti alle insistenze di mia moglie Marina e mi ritrovai ai piedi della grotta con il compagno di ordinazione Giuseppe Vailati. Da allora non ho più perso quest’appuntamento annuale, attuato tramite l’OFTAL, l’associazione che consocia varie diocesi lombarde, piemontesi, liguri e sarde, e che tre anni fa ci ha portato anche in Terrasanta con un pellegrinaggio per disabili, l’unico possibile per mia moglie e per una trentina di altri pellegrini in carrozzina.

Perché? Scrivevo ad alcuni compagni di liceo con cui abbiamo “riallacciato” da qualche anno:

Lourdes non è solo ricerca di grazia (nel senso di guarigione…litri di acqua miracolosa portati a casa o i ceri che vengo bruciati in seguito, di notte), per me Lourdes è stimolo a condividere la mia realtà, di sano, di ammalato, abile o diversamente abile …ma sempre con una mia abilità…appunto diversa.

La gioia dello Spirito è quella di creare comunione, giocando con le differenze, scriveva Christian de Chergé, priore di Notre-Dame de l’Atlas, martire in Algeria con sei confratelli non molti anni fa.

Questo il motivo da cui il pellegrinaggio (qui gioca la Fede, la consapevolezza che comunque dipendiamo – da Qualcuno o dal Caso? –  ma non sta ma me giudicare i sentimenti ed il vissuto, anche nel suo intimo, di chi malato o sano mi sta di fronte), è il motivo per cui a Lourdes non ci vado in aereo o in bus, ma in treno ospedale.

Scrivevo anche: …abbiamo da poco celebrato Pentecoste nelle nuove parrocchie ove sono stato destinato da qualche mese; eravamo 23 nazionalità. Ed a Lourdes ti ritrovi sommerso da una moltitudine di persone, di ogni etnia, cristiani e non, ma anche questi ultimi ti confidano che lì qualcosa li turba dentro. Una torre di Babele al contrario, cinesi, coreani, indiani, africani, americani sia ‘latinos’ che ‘gringos’, irlandesi e spagnoli….tutti sembrano parlare una stessa lingua… Differenze, accettazione, tentativi di condividere, rispetto delle radici di ognuno, universalità… Valori che si motivano nella Fede nello Spirito che soffia dove e come vuole. Sicuramente, dal tempo dell’Annunciazione, la Madonna deve avere un canale particolare per intercedere per noi proprio con lo Spirito.

Utopia? Può essere – anche san Paolo ad Atene fu tacciato di vaneggiamenti –; Fede?! (I’ve a dream predicava Martin Luther King), la Fede di quella fila ininterrotta che passa sotto le pareti bagnate d’acqua che trasuda sotto la statua della Madonna, semplice, di chi vuol partecipare toccando quest’anno no: l’acqua nella grotta superava i 2 metri – la Messa dei popoli in otto lingue nella grande basilica sotterranea, ma quest’anno sospesa perchè sotto 3 metri d’acqua.  E’ ‘saltata’ anche la via Crucis nella prateria.., ma è rimasto quel fondamentale momento della Riconciliazione, magari in treno al ritorno, con il malato barellato che hai più volte accompagnato e che  ora ti chiede di chiamargli il prete.

Tutto mi ricorda che i sogni si avverano (il Regno è già qui diceva il Signore!,) anche per quella cinquantina di ragazzi di terza superiore alla loro prima ‘seria’ esperienza di volontariato con il loro professore, bloccati tra i malati ed impossibilitati a rientrare in albergo, sogni che  possono esser segni di un cammino verso un Bene comune, che non esclude le grazie particolari, ma che le comprende e le racchiude tutte, Bene  cui tutti desideriamo tendere, qualunque sia il nostro credo sincero, la nostra fede o il grado di fede che pensiamo di avere.

Ma non solo a Lourdes siamo a contatto con malati e “diversi”, ogni giorno persone con radici e storie diverse le incontriamo anche sui pianerottoli di casa nostra.

Alluvione 2013: il commento di sr. Letizia, una anziana suora, ma giovane di spirito, della mia unità Pastorale:Ogni disgrazia porta con sé una grazia, perché smuove energie nuove spirituali e fisiche. Ciò che conta è saperle accogliere e viverle con lo sguardo della fede. Buon rientro con la carica per un nuovo cammino”. Due le osservazioni di don Paolo, presidente dell’OFTAL: la sporcizia nella grotta era la norma ai tempi di Bernadette (che si coprì il viso di fango) ma da lì sgorgò acqua pulita, che continua a sgorgare pulita anche ora; i tronchi, molti continuano la loro corsa nel flusso vorticoso nella corrente (come molti di noi nella corsa della vita), ma qualcuno si ferma nei pressi della gotta.

Concludendo: Lourdes (condivido le riflessioni di una dama) fa emergere sentimenti che spesso la nostra quotidianità e la nostra società tendono a reprimere e a nascondere. I luoghi di Bernadette, la Grotta, sono sempre gli stessi, siamo noi, e ciò che portiamo nel nostro cuore, a cambiare: il sorriso di un ammalato, il suo sguardo colmo di felicità ci fanno capire che ogni pellegrinaggio che compiamo non è altro che un cammino di grande crescita interiore per tutti.

E’ proprio lì che il fardello che portiamo ogni giorno sembra alleggerirsi, acquistiamo maggiore forza di volontà, speranza e fede. Quando senti dire dall’ammalato: “Sono qui per offrire al Signore le mie sofferenze” o addirittura: “Sono qui perché voglio ringraziarLo di tutto e pregare per voi!”…è allora che comprendo che quel che io diacono (cioè servitore) faccio è solo una minuscola cosa in confronto a ciò che le persone che ho accanto sanno donarci, anche con un semplice gesto. Davanti a quella Grotta ognuno di noi può comprendere la grandezza di Dio e il grande e vero significato di Lourdes!

diacono Osvaldo Puppin

La Fiaccola – Ottobre 2013