Il diacono Brunetto Corbellini è tornato al Padre

Il diacono Brunetto è tornato al Padre nel giorno del Venerdì santo, quando la Chiesa celebrava la morte del Figlio Gesù sulla croce. Oggi, nel corso dell’Ottava di Pasqua, ne celebriamo la nascita al cielo. Questa immersione nella Pasqua di Gesù segna profondamente il transito del diacono Brunetto, tanto più se pensiamo alla malattia che l’ha afflitto negli ultimi anni e che lo obbligava a seguire costantemente una terapia con l’ossigeno per aiutare la respirazione. In questa patologia invalidante sono come confluite nella fase finale della vita del diacono Brunetto tutte le vicende di un’esistenza ricca e inquieta, come testimonia lo stesso messaggio dell’arcivescovo e che personalmente ho potuto accostare anche se fugacemente: la famiglia, l’amore per Silvana e la costante attenzione per il cammino di suo figlio Stefano e i suoi studi, il lavoro in azienda, il servizio come insegnante di religione cattolica, la conversione in età adulta, e i diversi aspetti del suo ministero: l’assistenza spirituale agli ammalati, l’amore per l’eucaristia espresso in particolare nella pratica dell’adorazione, l’impegno nel Rinnovamento nello Spirito e la passione per la cura delle relazioni personali.

Il senso profondo di tutto questo è stato dunque rivelato dalla sua morte, come avviene per tante persone: l’essere associato così profondamente e visibilmente alla Passione di Gesù ci fa comprendere che l’esistenza di ogni cristiano, e in modo particolarmente eloquente l’esistenza di un ministro ordinato – di un diacono, nel caso di Brunetto – sta sotto il segno della Pasqua, cioè dell’amore ricevuto e donato, fino all’ultimo, davvero fino all’ultimo respiro.

Le letture che abbiamo ascoltato ci permettono di fare un breve ma intenso percorso dentro la Passione di Gesù e del diacono. Il racconto dell’ultima cena di Gesù con i discepoli ci parla del desiderio di comunione che ha animato il Signore: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione”, un desiderio quasi riflesso nella passione del diacono Brunetto per le relazioni personali (avrebbe desiderato anche prestare il servizio di ascolto in Duomo). E poi, a partire dalla spiacevole discussione sorta tra i discepoli su chi fra loro dovesse essere considerato “il più grande”, lo straordinario insegnamento di Gesù che ci rivela come la vera grandezza cristiana e umana sia nell’essere come “colui che serve”, esattamente come ha fatto lui nei nostri confronti. Il diacono non cerca semplicemente la convivialità, l’amicizia, il passare bene il tempo con persone gradevoli, il mangiare e bere in compagnia, il diacono misura ogni scelta, ogni gesto della sua esistenza sul criterio del servizio, che si tratti delle relazioni famigliari (il servizio reciproco tra i coniugi, il servizio all’educazione dei figli), dei rapporti professionali (la competenza, la preparazione, la professionalità messa al servizio di un progetto non meramente individuale ma condiviso, per Brunetto è stato l’appassionante servizio alla maturazione umana e spirituale degli alunni come insegnante di religione), della diaconia ministeriale (per Brunetto l’assistenza agli ammalati, la relazione di aiuto).

Il breve brano della passione secondo Matteo ci ricorda che nessuna vicenda umana è esente dall’esperienza del dolore, dell’abbandono, della contrarietà e della solitudine. Se la croce di Gesù è stata particolarmente impressionante perché è nata dal rifiuto di Dio da parte di uomini violenti, arroganti, pusillanimi, gelosi del loro potere, per il diacono Brunetto la croce ha preso la forma di una malattia che lo limitava fortemente, che negli ultimi tempi lo isolava dagli altri, dalle relazioni ecclesiali e pastorali, consentendogli una breve autonomia solo per uscire e andare ai giardinetti di fronte a casa. Forse anche Brunetto avrà pregato come Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”: appunto, nell’angoscia che esprime, nello sconfinato senso di solitudine di cui si fa parola, questa invocazione sulle labbra di Gesù – e immagino sulle labbra di Brunetto – è una preghiera, è parola che cerca un interlocutore, è parola che confida risolutamente che il Padre l’ascolti.

E poi è venuto il giorno di Pasqua, è venuto – nuovo – l’incontro con i discepoli ancora paralizzati dal “timore dei Giudei”, è venuta la consegna della pace e il dono dello Spirito per la missione. Bellissimo: Gesù “alita” sui discepoli effondendo lo Spirito Santo per il perdono delle colpe; Gesù – che sulla croce è morto per asfissia – adesso respira “a pieni polmoni”, inonda il mondo del respiro di vita che è lo Spirito del suo amore e della riconciliazione con Dio. Così nella fede noi immaginiamo che sarà il dono preparato per il diacono Brunetto, servo fedele. Egli, che faceva fatica a respirare, che non era in grado di respirare se non con l’ausilio di uno strumento esterno, adesso respira a pieni polmoni il vento impetuoso e fresco dello Spirito di vita, che il Risorto gli infonde senza misura.

don Giuseppe Como

Omelia nelle esequie del diacono Brunetto Corbellini – Milano, Parr. Preziosissimo Sangue, 19.04.2022