Conferenza Episcopale Italiana, I DIACONI PERMANENTI NELLA CHIESA IN ITALIA. ORIENTAMENTI E NORME 1° giugno 1993

Conferenza episcopale italiana

I diaconi permanenti nella chiesa in Italia. Orientamenti e norme (1993)

Dopo oltre vent’anni dalla restaurazione del diaconato permanente in Italia, e mentre il numero degli ordinati si avvicina al migliaio, la CEI «riprende la riflessione e aggiorna gli indirizzi nell’intento di accompagnare… la crescita dell’apporto che il diaconato permanente è chiamato a offrire alle chiese particolari» (Introduzione). Lo strumento scelto è un testo a carattere normativo, I diaconi permanenti nella chiesa in Italia. Orientamenti e norme, approvato dall’assemblea generale della CEI nell’ottobre del 1992 al termine di un lavoro di tre anni di preparazione (cf. Regno-att. 22,1991,696), e promulgato dal presidente, card. Ruini, il 19 maggio scorso, previa recognitio della Santa Sede.

L’aggiornamento rispetto ai documenti del 1971-1972 (cf. ECEI 1/3955ss.4139ss) riguarda soprattutto la formazione teologica, definita in parallelo a quella prescritta per gli insegnanti di religione, mentre sul piano dell’esercizio del ministero si avverte una certa indeterminatezza: «Sono le varie situazioni in atto nelle chiese a suggerire i diversi modelli» (n. 8). Prudenza anche nell’indirizzare verso la restaurazione del diaconato le numerose diocesi italiane (due su tre), che ancora non l’hanno avviata.

Decreto

La Conferenza episcopale italiana nella XXXVI assemblea generale ordinaria, svoltasi a Collevalenza dal 26 al 29 ottobre 1992, ha esaminato e approvato con la prescritta maggioranza il documento I diaconi permanenti nella chiesa in Italia. Orientamenti e norme.

In conformità al can. 455, $ 2, del Codice di diritto canonico ho richiesto con lettera del 2 febbraio 1993 (prot. n. 62/93) la prescritta «recognitio» della Santa Sede.

Con venerato foglio del 4 maggio 1993 (prot. n. 960/93) il segretario della Congregazione per i vescovi mi ha comunicato la concessione della «recognitio» specificando che essa riguarda i «punti del documento che rimangono sotto la disciplina del can. 236 (formazione dei candidati al diaconato permanente)».

Pertanto con il presente decreto, nella mia qualità di presidente della Conferenza episcopale italiana, per mandato dell’assemblea generale e in conformità al can. 455, nonché all’art. 28/a dello Statuto della CEI, intendo promulgare e di fatto promulgo il documento I diaconi permanenti nella chiesa in Italia. Orientamenti e norme, approvato dalla XXXVI assemblea generale, stabilendo che, in conformità al can. 8, $ 2, del Codice di diritto canonico, entri in vigore dopo un mese dalla data di pubblicazione sul Notiziario ufficiale della Conferenza episcopale italiana.

Roma, 19 maggio 1993 (prot. n. 315/93).

Camillo card. Ruini


Introduzione

Il diaconato, quale grado proprio e permanente della gerarchia e non solo come momento di passaggio verso il sacerdozio, riproposto dal concilio Vaticano II per la chiesa latina, risponde all’attuale situazione storica e ormai da vent’anni è diventato una realtà nella chiesa in Italia.

La Conferenza episcopale italiana ha approvato, dopo la pubblicazione del motu proprio Sacrum diaconatus ordinem (18.6.1967), la restaurazione del diaconato permanente in Italia con un voto espresso dalla VII assemblea generale del 12 novembre 1970, nel documento La restaurazione del diaconato permanente in Italia promulgato l’8 dicembre 1971. Ha poi indicato i motivi e le circostanze favorevoli che hanno determinato tale decisione, ha descritto le funzioni del diacono permanente e ne ha disciplinato l’impegno con norme pratiche riguardanti la qualità, la preparazione, la vita, l’esercizio del ministero e il sostentamento economico. A cura del Comitato episcopale per il diaconato permanente è stato pubblicato nell’aprile del 1972 un regolamento applicativo dal titolo Norme e direttive per la scelta e la formazione dei candidati al ministero diaconale, redatto dall’apposito comitato di vescovi.

Il 15 agosto 1972 il papa Paolo VI emanava il motu proprio Ad pascendum sul diaconato nella chiesa latina.

La Conferenza episcopale italiana ha continuato a interessarsi del diaconato permanente in diversi altri documenti, tra i quali ricordiamo: I ministeri nella chiesa (15.9.1973), Evangelizzazione e ministeri (15.8.1977), La formazione dei presbiteri nella chiesa italiana (15.5.1980), Vocazioni nella chiesa italiana (26.5.1985).

Nell’arco del ventennio trascorso, varie chiese particolari hanno promosso la restaurazione del diaconato permanente, così che attualmente si hanno oltre ottocento diaconi ordinati, in almeno cento diocesi in Italia, impegnati in forme diverse di ministero. Si può ben dire che la scelta del concilio, fatta propria dalla chiesa che è in Italia, ha portato i suoi frutti. L’esperienza maturata nelle chiese particolari si presenta significativa, varia e ricca. Non sono mancate tuttavia delle difficoltà, alcune già note alla storia più antica del diaconato anche se oggi presenti in forme nuove, altre emerse dalle condizioni odierne della chiesa e della sua missione in Italia.

Poiché il documento La restaurazione del diaconato permanente in Italia prevedeva, dopo una congrua esperienza, «un più maturo e organico “Statuto del diaconato permanente”» (n. 53; ECEI 1/4007), appare a questo punto opportuno che la Conferenza episcopale italiana riprenda la riflessione e aggiorni gli indirizzi nell’intento di accompagnare, in forma sempre più puntuale ed efficace, la crescita dell’apporto che il diaconato permanente è chiamato a offrire alle chiese particolari in Italia.

A questo scopo è stato preparato il presente documento, che recepisce le norme del Codice di diritto canonico (25.1.1983); fa tesoro delle direttive elaborate dalle singole chiese e dalle conferenze episcopali regionali; acquisisce i diversi contributi di convegni diocesani, regionali, nazionali, ai quali hanno partecipato diaconi, delegati vescovili, teologi, contributi accuratamente vagliati dalla Commissione episcopale per il clero.

Il documento offre autorevolmente le linee comuni alle quali i vescovi sono invitati a riferirsi per favorire indirizzi formativi e pastorali comuni. Nei capitoli secondo (Il discernimento vocazionale), terzo (La formazione dei candidati al diaconato) e quarto (Il ministero) contiene peraltro quelle disposizioni giuridicamente vincolanti che il can. 236 del Codice di diritto canonico affida alla competenza della conferenza episcopale e costituiscono diritto particolare per le chiese che sono in Italia.1

Questo documento segna così un ulteriore passo verso il cammino del diaconato permanente in Italia; e, mentre sostituisce il precedente documento dal titolo La restaurazione del diaconato permanente in Italia, vuole essere un valido strumento di accompagnamento delle nostre chiese, ma anche di promozione della stessa coscienza diaconale di una chiesa «tutta ministeriale».2

  1. Il diaconato nel mistero e nella missione della chiesa
  2. La chiesa, sin dall’età apostolica, ha tenuto in grande venerazione l’ordine sacro del diaconato. Ne fa fede l’apostolo Paolo nelle sue lettere. Ai filippesi così scrive: «Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi. Grazie a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Fil 1,1- 2). Nella Prima lettera a Timoteo, inoltre, offre alcune istruzioni sullo stile di vita dei diaconi e sul discernimento necessario per la loro assunzione nel ministero: «I diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie. Coloro infatti che avranno ben servito, si acquisteranno un grado onorifico e una grande sicurezza nella fede in Cristo Gesù» (1Tm 3,8-10.12-13).

Una consolidata tradizione, che si esprime anche in testi antichi e recenti della liturgia di ordinazione, ha visto l’inizio del diaconato nell’episodio dell’istituzione dei «sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di saggezza» (At 6,1-6), ai quali gli apostoli affidano l’incarico del servizio quotidiano della carità.3

Anche se da un punto di vista dell’interpretazione storica questa identificazione lascia luogo a fondate riserve, il significato che la pagina degli Atti degli apostoli e la tradizione liturgica danno all’episodio illustra in maniera limpida e profonda la logica propria del ministero diaconale: collaborare con il ministero apostolico dei vescovi, nella fedeltà e nella dedizione ai suoi compiti essenziali e insieme nella sollecitudine e nella cura delle contingenze più concrete.

  1. La tradizione espressa da numerosi padri della chiesa attesta la diffusione del diaconato in numerose chiese, ne illustra il significato teologico e ne propone la figura spirituale.

Il papa san Clemente I ricorda i diaconi all’interno dell’ordinata costituzione della chiesa voluta da Dio.4 Sant’Ignazio di Antiochia vede nei diaconi e nella loro disponibilità al vescovo una particolare immagine di Gesù Cristo, del quale esercitano la diaconia: «È necessario che anche i diaconi, i quali sono i ministri dei misteri di Gesù Cristo, riescano in ogni modo di gradimento a tutti. Essi, infatti, non sono diaconi che distribuiscono cibi e bevande, ma ministri della chiesa di Dio».5 Dei diaconi parla Erma ne Il Pastore,6 san Giustino nella Prima apologia,7 Policarpo nella Lettera ai filippesi.8 La Tradizione apostolica di Ippolito descrive il rito dell’ordinazione del diacono mediante l’imposizione delle mani da parte del solo vescovo, «poiché non è ordinato per il sacerdozio, ma per il servizio del vescovo, con il compito di eseguirne gli ordini».9 L’antica e significativa Didascalia degli apostoli raccomanda al diacono una comunione stretta e cordiale con il vescovo: «Egli sia l’orecchio del vescovo, la sua bocca, il suo cuore, la sua anima: due in una sola volontà».10 Questi antichi scritti, insieme ad altre testimonianze di collezioni canonico-liturgiche, a vari testi dei padri della chiesa e a diversi canoni dei concili (come quelli di Elvira, Arles, Nicea), documentano come il diaconato rimanga fiorente almeno fino al V secolo. Con amore e devozione poi la chiesa ha conservato la memoria di diaconi santi: in particolare san Lorenzo martire, san Vincenzo di Saragozza, sant’Efrem siro, dottore della chiesa.

  1. Vicende storiche diverse causarono in seguito una graduale diminuzione dell’importanza e della diffusione del ministero diaconale, sino alla sua quasi totale scomparsa nella chiesa d’occidente. Tra i motivi della minore valorizzazione pastorale e, in seguito, della disaffezione al diaconato, i padri segnalano una certa presunzione da parte di diaconi nel governo della chiesa e nell’amministrazione dei suoi beni: i diaconi tendevano ad affermarsi uguali o superiori ai presbiteri e, talora, a sentirsi perfino indipendenti dal vescovo.11 Ma al di là di episodi incresciosi, ci sono ragioni più complesse che vanno lette nello sviluppo generale delle condizioni della chiesa e della pastorale. Mentre la chiesa era chiamata dalla sua stessa missione a esprimersi in servizi e in forme pastorali adeguate alle mutazioni storiche, la figura del diacono, mancando della necessaria formazione soprattutto intellettuale, restò vittima di una crescente involuzione, sino a lasciarsi come svuotare. Dell’attività caritativa al posto dei diaconi progressivamente andavano occupandosi monaci o laici abbienti, e fu difficile conservare il legame tra carità e liturgia, al cui delicato equilibrio erano legati una buona coscienza e un buon esercizio del ministero diaconale. Con la richiesta poi di fatto di un celibato che non sempre trovava nel ministero una proporzionata motivazione, il diaconato nella chiesa latina rimase normalmente solo momento di passaggio verso l’ordinazione sacerdotale. Il concilio di Trento nella sessione XXIII del 1563 decretò che esso venisse ripristinato in modo che «le funzioni dei sacri ordini» non apparissero inutili e fossero «esercitate solo da coloro che sono costituiti nei rispettivi ordini».12 Quanto così deliberato tuttavia non ebbe seguito.
  2. Il concilio Vaticano II ripropone la dottrina sul diaconato come ordine sacro nella costituzione dogmatica sulla chiesa Lumen gentium. Dopo aver insegnato che nei vescovi «permane l’ufficio degli apostoli di pascere la chiesa, da esercitarsi ininterrottamente» (LG 20; EV 1/333) a partire dalla «pienezza del sacramento dell’ordine» (LG 21; EV 1/335), il concilio così presenta i loro collaboratori: «Il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi» (LG 28; EV 1/354).

«In un grado inferiore della gerarchia – insegna – stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani “non per il sacerdozio ma per il servizio”» (LG 29; EV 1/359). Con questa antica formula che distingue i diaconi dai presbiteri, il concilio invita a comprendere la specificità del ministero dei diaconi. Benché essi non siano chiamati alla presidenza dell’eucaristia, sono segnati dal «carattere» e sostenuti dalla «grazia sacramentale» dell’ordine ricevuto, e chiamati «al servizio del popolo di Dio, in comunione col vescovo e il suo presbiterio», nella «diaconia della liturgia, della parola e della carità».

  1. Il concilio poi decide che anche nella chiesa latina il diaconato possa essere «in futuro restaurato come un grado proprio e permanente della gerarchia» e ne indica una serie di funzioni proprie, derivandole sia dal diritto vigente sia dalla tradizione antica, sia da proposte più recenti, suggerite dalle nuove situazioni pastorali e missionarie. Si esprime inoltre a favore della possibilità che il diaconato sia conferito «a uomini di età matura anche sposati, e così pure a giovani idonei, ferma restando però per questi la legge del celibato» (LG 29; EV 1/360). Stabilisce infine che spetta alle conferenze episcopali nazionali decidere, con l’approvazione del papa, sull’utilità del ripristino del diaconato nella propria nazione, secondo i bisogni della chiesa.
  2. Tra gli interventi del magistero post-conciliare dedicati al diaconato è da ricordare anzitutto il motu proprio Ad pascendum di Paolo VI, nel quale si descrive il diaconato «come ordine intermedio tra i gradi superiori della gerarchia ecclesiastica e il resto del popolo di Dio, … in qualche modo interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane, animatore del servizio, ossia della diaconia della chiesa presso le comunità cristiane locali, segno o sacramento dello stesso Cristo Signore, il quale “non venne per essere servito, ma per servire” (cf. Mt 20,28)».

Rivolgendosi ai partecipanti al convegno dei diaconi permanenti, promosso dalla Conferenza episcopale italiana, Giovanni Paolo II così insegna: «Il diacono nel suo grado personifica Cristo servo del Padre, partecipando alla triplice funzione del sacramento dell’ordine: è maestro in quanto proclama e illustra la parola di Dio; è santificatore, in quanto amministra il sacramento del battesimo, dell’eucaristia e i sacramentali; è guida, in quanto è animatore di comunità o settori della vita ecclesiale. In tal senso, il diacono contribuisce a fare crescere la chiesa come realtà di comunione, di servizio, di missione».13

La Conferenza episcopale italiana, da parte sua, nel documento pastorale Evangelizzazione e ministeri afferma: «Col ripristino del diaconato permanente, la chiesa ha la consapevolezza di accogliere un dono dello Spirito e di immettere così nel vivo tessuto del corpo ecclesiale energie cariche di una grazia peculiare e sacramentale, capaci perciò di maggiore fecondità pastorale. Il diaconato concorre così a costituire la chiesa e a darne un’immagine più completa e più rispondente al disegno di Cristo, e più in grado, per interna e spirituale potenza, di adeguarsi a una società che ha bisogno di fermentazione evangelica e caritativa, nei piccoli gruppi, nei quartieri e nei caseggiati» (n. 60; ECEI 2/2815).

  1. La teologia, alla luce e sotto la guida del magistero della chiesa, è oggi in grado di illustrare in termini chiari, anche se bisognosi di approfondimenti che sono da incoraggiarsi, la natura e il significato ecclesiale del diaconato permanente: dipendente dall’episcopato e ad esso collegato nel contesto della successione apostolica, esso è un grado del sacramento dell’ordine, e, come tale, imprime il carattere e infonde in chi lo riceve una grazia sacramentale specifica.

L’ordinazione sacramentale, proprio in quanto tale, configura secondo una modalità loro specifica i diaconi a Gesù Cristo. Essi sono costituiti nella chiesa come segno vivo di Gesù, Signore e servo di tutti. Sono consacrati e mandati al servizio della comunione ecclesiale, sotto la guida del vescovo con il suo presbiterio. Come il popolo di Dio al quale sono dedicati, i diaconi trovano la loro norma permanente e la loro identità fondamentale nella fedeltà al Vangelo e, illuminati dai segni dello Spirito, vivono e realizzano la loro missione in modalità che variano secondo il contesto storico concreto entro cui essa si svolge.

I diaconi partecipano del servizio ecclesiale secondo la specificità e la misura dell’ordine ricevuto: non sono ordinati per presiedere l’eucaristia e la comunità, ma per sostenere in questa presidenza il vescovo e il presbiterio.14 Proprio attraverso questa disponibilità essi sono chiamati ad esprimere, secondo la loro grazia specifica, la figura di Gesù Cristo servo, ricordando così anche ai presbiteri e ai vescovi la natura ministeriale del loro sacerdozio, e animando con essi, mediante la Parola, i sacramenti e la testimonianza della carità, quella diaconia che è vocazione di ogni discepolo di Gesù e parte essenziale del culto spirituale della chiesa.

  1. Il ministero diaconale pertanto custodisce e testimonia la disponibilità della chiesa, sia nella sua pastorale ordinaria sia nella sua missione ad gentes, a vivere la dimensione missionaria propria di quel popolo che Dio manda agli uomini nella concretezza della loro storia. È grazie a questa rinnovata coscienza di chiesa che il concilio Vaticano II ha restaurato il diaconato permanente. L’esperienza di questi decenni ha confermato la verità dello stretto legame che esiste tra questa prospettiva ecclesiale e pastorale e la fecondità dell’esercizio del ministero diaconale.

Tale coscienza, radicata e maturata nella fede, invita e sollecita l’intera comunità cristiana, e in particolare i pastori e i membri dei consigli presbiterali e pastorali, a un attento discernimento, nell’ascolto di «ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2,7). Da una parte infatti la grazia del diaconato può condurre a un profondo rinnovamento del tessuto cristiano delle comunità ecclesiali mediante la testimonianza della carità,15 dall’altra parte, come confermano anche sia l’antica sia la più recente esperienza ecclesiale, sono le varie situazioni in atto nelle chiese a suggerire i diversi modelli di esercizio del ministero diaconale.

  1. È questa, in realtà, la lezione più importante che ci viene dall’esperienza di questi primi decenni dal ripristino del ministero diaconale. Il senso del diaconato e il suo esercizio devono essere visti in relazione a una chiesa che cresce nella consapevolezza di essere chiesa missionaria, impegnata in cammini pastorali che, lungi dal ridursi a un’opera di semplice conservazione, si aprono coraggiosamente alle sempre nuove sollecitazioni dello Spirito. Essa è il popolo profetico che annuncia la Parola che salva ed è il segno e lo strumento del Vangelo della carità. In essa ogni servizio dev’essere eco umile e generosa del servizio stesso di Gesù Cristo. In tal modo la chiesa può vincere la tentazione dell’efficientismo e testimoniare il primato irrinunciabile della trasparenza «che non ferma l’attenzione su di sé, ma invita gli uomini a prolungare lo sguardo verso Dio».16

Il servizio diaconale contribuisce a far crescere la comunità ecclesiale secondo quella «cultura di comunione» le cui caratteristiche sono state proposte alla chiesa italiana all’inizio degli anni ’80.17 In particolare il diaconato può dare i suoi frutti migliori nel contesto di progetti pastorali improntati a corresponsabilità e nei quali il ministero ordinato sia chiamato ad animare e a guidare, non a sostituire, la vivacità degli impulsi che lo Spirito suscita nel popolo di Dio. In questo senso si può riferire per analogia anche ai diaconi quanto il concilio raccomanda ai presbiteri: «Sapendo discernere quali spiriti abbiano origine da Dio (cf. 1Gv 4,1), essi devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici, devono ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza» (Presbiterorum ordinis, n. 9; EV 1/1272).

  1. Il discernimento vocazionale
  2. La vocazione al diaconato non è semplice momento di organizzazione dei servizi ecclesiali, ma procede da Dio come avvenimento di grazia, che interpella il singolo soggetto e insieme suppone e domanda un cammino di fede da parte dell’intera comunità. La cura delle vocazioni, infatti, è compito di tutta la chiesa: essa, «costituita nel mondo come comunità di chiamati, è, a sua volta, strumento della chiamata di Dio, (…) impegnata a favorire, nella diversità delle responsabilità, tutte le vocazioni consacrate».18

Questo legame tra il cammino personale e quello ecclesiale chiede di essere particolarmente tenuto presente oggi, mentre il ministero diaconale va prendendo nuova provvidenziale configurazione. Contesto idoneo alle vocazioni al diaconato è, quindi, una chiesa intenta a discernere le vie per le quali oggi il Signore la chiama a sostenere la responsabilità del Vangelo, a vivere e manifestare il mistero della comunione, a tradurre in opere e in istituzioni le premure della carità e i diversi servizi pastorali. Per questi impegni si aprono ai diaconi preziose e interessanti possibilità.

  1. Il discernimento della vocazione al diaconato permanente, sia quando questa incomincia a prendere forma come ipotesi, sia nel momento dell’accettazione di un soggetto come aspirante a questo ministero, va condotto con serietà ed è condizione determinante per l’intero cammino di formazione e per l’adeguata impostazione del futuro ministero. Esso, come impegna il soggetto a essere chiaro di fronte alla volontà del Signore ed esigente con se stesso, così chiede alla pastorale diocesana altrettanta chiarezza sull’esistenza di fatto delle condizioni necessarie perché il ministero diaconale possa essere correttamente inserito ed esercitato in essa.

La comunità diocesana, e in particolare quella parrocchiale, non deve essere spettatrice passiva dei vari momenti del cammino al diaconato. Accompagni invece l’ammissione di ogni soggetto tra gli aspiranti con un adeguato cammino di catechesi che, mentre sensibilizza la parrocchia verso questo ministero, sia di grande aiuto per il soggetto nel discernimento e nella formazione. Un simile cammino di catechesi e di sensibilizzazione venga previsto, a tempo debito, anche nelle parrocchie o nelle strutture ecclesiali alle quali il diacono sarà poi inviato.

  1. Gli aspiranti siano ordinariamente presentati dal proprio parroco, il quale si farà premura di usufruire delle opportune consultazioni, sentendo, quando occorra, anche i responsabili delle realtà ecclesiali alle quali gli aspiranti appartengono e nelle quali operano.

L’ammissione tra gli aspiranti al diaconato spetta al vescovo, responsabile ultimo del discernimento e della formazione. Egli esercita ordinariamente questa premura tramite un suo delegato; tuttavia non tralascerà di conoscere personalmente quanti si preparano al diaconato.

  1. Negli aspiranti si devono riscontrare la ricchezza delle virtù teologali, lo spirito di preghiera, l’amore alla chiesa e alla sua missione, il possesso delle virtù umane, quali l’equilibrio, la prudenza, il senso di responsabilità e la capacità al dialogo, come pure la salute fisica e la disponibilità di tempo adeguati all’esercizio del ministero (cf. can. 1029).

In particolare, essi devono dimostrare di desiderare il diaconato non per interessi puramente personali o per progetti di singoli gruppi e neppure primariamente per la propria realizzazione, ma per il servizio della chiesa, secondo il piano pastorale della diocesi.

  1. Per l’inserimento nel cammino di preparazione al diaconato si deve poter contare non soltanto su una sincera docilità e disponibilità alla collaborazione apostolica e quindi a un servizio organico inserito in una pastorale d’insieme, ma anche sull’esercizio previo di una concreta responsabilità pastorale: in tale esercizio l’aspirante, dando buona prova delle proprie capacità e della propria dedizione, potrà misurare realisticamente la sua intenzione.
  2. L’aspirante al diaconato deve essere sollecitato a un discernimento libero e consapevole della propria vocazione, in riferimento sia a ciò che il ministero diaconale è in se stesso, sia al significato che esso viene ad avere nella chiesa particolare e nella situazione storica della chiesa oggi.

Al momento del rito liturgico di ammissione tra i candidati, ciascuno dovrà esprimere chiaramente e per iscritto l’intenzione di impegnarsi per il servizio della chiesa particolare, significando in tal modo l’adesione a un ministero ecclesiale e la piena disponibilità al vescovo (cf. can. 1034, $ 1).

  1. Il celibato sia una scelta positiva per il Regno, assunta con chiarezza di motivazioni e collocata in una personalità matura e armoniosa.

Chi è già sposato e aspira al diaconato deve coinvolgere la famiglia nelle proprie intenzioni e decisioni. Sono perciò richiesti il consenso della sposa (cf. can. 1031, $ 2) e un’esperienza della vita matrimoniale che dimostri e assicuri la stabilità della vita familiare. La famiglia stessa si impegni a collaborare con una generosa testimonianza di vita, anzitutto attraverso la fede della sposa e l’educazione cristiana dei figli.

I vedovi aspiranti al diaconato siano prima informati che, in conformità alla disciplina tradizionale della chiesa, non potranno contrarre nuove nozze. Essi perciò diano prova di solidità umana e spirituale nella loro condizione di vita e sappiano provvedere, o abbiano già provveduto, in modo adeguato alla cura umana e cristiana dei figli, così che non sorgano situazioni conflittuali tra il dovere di padre e gli impegni del futuro ministero. In caso contrario la domanda di ammissione non potrà essere accolta.

  1. L’età minima per l’accettazione tra gli aspiranti al diaconato è, per i celibi, di anni ventuno; per i coniugati, di anni trentuno. Si valuti però per questi ultimi l’opportunità, in taluni casi, di un tempo più prolungato di formazione. Nelle singole diocesi si stabilisca un’età massima di ammissione, che normalmente non deve essere oltre i sessant’anni.

Resta fermo però che l’ordinazione potrà avvenire solo dopo il compimento del venticinquesimo anno per i celibi e del trentacinquesimo anno per i coniugati (cf. can. 1031, $ 2).

  1. Occorre valutare l’attività lavorativa o professionale degli aspiranti per accertarne la pratica conciliabilità sia con gli impegni di formazione sia con l’effettivo esercizio del ministero. Nei casi difficili, che esigono scelte rilevanti, la decisione ultima sulle condizioni da richiedere spetta al vescovo.
  2. È necessario verificare che gli aspiranti siano liberi da irregolarità e da impedimenti (cf. cann. 1040-1042).
  3. L’itinerario per l’ammissione, della durata di almeno un anno, culmina nel rito liturgico di ammissione tra i candidati all’ordine del diaconato. Per il suo carattere pubblico e solenne e per l’impegno che lega reciprocamente il vescovo, la chiesa e il candidato, il rito sia adeguatamente valorizzato. Anche se il tempo della formazione più specifica continua ad essere periodo di verifica vocazionale, si assumano tra i candidati solo quei soggetti per i quali il discernimento sia già stato compiuto con esito positivo, e la scelta per l’ordinazione sia ritenuta definitiva.
  4. Il discernimento vocazionale, compiuto secondo quanto sinora detto, dovrebbe garantire l’esercizio del ministero diaconale in tutto il periodo di vita che seguirà l’ordinazione, salvo le legittime disposizioni della competente autorità circa la cessazione dell’esercizio del ministero.

 

III. La formazione

  1. La formazione dei diaconi coinvolge tutta la comunità. L’itinerario formativo tende, anzitutto, a porre al centro della personalità del candidato una «coscienza diaconale», cioè una visione globale della vita ispirata e plasmata dalla dedizione al ministero (cf. can. 245, $ 1). Esso poi comprende una specifica preparazione a un ministero efficace e fruttuoso, secondo le esigenze e le urgenze attuali.

Pur nell’identità della meta, la formazione prende diverso significato in rapporto all’età dei candidati, alla loro esperienza umana, ecclesiale e pastorale, e alle loro condizioni generali di vita.

  1. Il vescovo, di norma, nomina un suo delegato per il diaconato. In questa scelta metterà massima cura, perché da essa dipende in notevole misura la riuscita del ministero diaconale nella diocesi.

Il delegato vescovile sia dotato di profondo senso ecclesiale, sperimentata esperienza pastorale e buona competenza pedagogica. È bene che sia affiancato da una commissione nominata dal vescovo.

È compito del delegato vescovile curare l’animazione, il discernimento vocazionale e la formazione degli aspiranti e dei candidati, mantenere i contatti con i responsabili delle comunità ecclesiali e con le famiglie dei candidati coniugati, promuovere la formazione permanente dei diaconi.

  1. La durata dell’itinerario formativo sia per i candidati giovani, sia per gli uomini di età più matura sia di almeno tre anni oltre al periodo propedeutico.

I candidati giovani espletino l’intero itinerario formativo o almeno parte di esso in un’esperienza di vita comunitaria, in una sede idonea e conveniente, secondo le modalità determinate dal vescovo diocesano (cf. can. 236, $ 1).

Si favoriscano iniziative in comune tra diocesi vicine, o promosse dalla conferenza episcopale regionale.

La formazione spirituale

  1. La formazione spirituale è la categoria unificante dell’itinerario formativo. Essa deve avere il suo fondamento nella persona di Gesù Cristo: i diaconi, secondo il monito di san Policarpo, «siano misericordiosi, attivi e camminino nella verità del Signore, il quale si è fatto il servo di tutti».19 Ai diaconi la Didascalia degli apostoli raccomanda: «Come il nostro Salvatore e Maestro ha detto nel Vangelo: “colui che vorrà diventare grande fra voi, si farà vostro servo, appunto come il Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto di molti” (Mt 20,26-28); voi diaconi, dovete fare lo stesso, anche se ciò comporti il dare la vita per i vostri fratelli, per il servizio (diakonia), che siete tenuti a compiere. Se dunque il Signore del cielo e della terra si è fatto nostro servitore e ha sofferto pazientemente ogni sorta di dolore per noi, quanto più non dovremo far questo per i nostri fratelli noi, poiché siamo i suoi imitatori e abbiamo ricevuto la missione stessa del Cristo?».20

Anche ai diaconi si può applicare quanto dice il concilio sulla formazione sacerdotale: «Imparino a stimare quelle virtù che sono tenute in gran conto tra gli uomini e rendono accetto il ministro di Cristo, quali sono la sincerità d’animo, il rispetto costante della giustizia, la fedeltà alla parola data, la gentilezza del tratto, la discrezione e la carità nel conversare» (Optatam totius, n. 11; EV 1/795).

I candidati alimentino la propria spiritualità alla carità pastorale di Gesù Cristo servo, e si impegnino a conformarsi a lui nel dono totale e disinteressato di sé, nella misericordia, nella convinta ricerca dell’ultimo posto, nell’amore umile e servizievole verso i fratelli, soprattutto i lontani e i più bisognosi, anche con scelte significative di povertà.

Pongano particolare attenzione a crescere nell’amore alla chiesa, nell’obbedienza al vescovo e nello spirito di fede nell’affrontare le situazioni della vita.

  1. Dalla frequente partecipazione all’eucaristia, memoriale del mistero pasquale, apprendano a donare se stessi come «veri imitatori di Cristo nel servizio del suo corpo che è la chiesa».21 Nel mistero del corpo e del sangue del Signore riconoscano il centro della loro vita e la fonte di ogni grazia per il ministero al quale sono chiamati.

La parola di Dio sia l’alimento costante della loro vita spirituale. La conoscenza della sacra Scrittura andrà approfondendosi non solo attraverso lo studio accurato e amoroso, ma anche attraverso l’esercizio della «lectio divina» e ogni servizio reso alla Parola. Prendano ispirazione dal monito della liturgia: «Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei diventato l’annunziatore: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che credi, vivi ciò che insegni».22

La liturgia delle ore quotidiana, il sacramento della penitenza e la direzione spirituale, i ritiri e gli esercizi spirituali, la devozione alla Vergine, serva del Signore e Madre del Salvatore, contrassegnino il cammino e il progresso spirituale dei candidati.

  1. Nella formazione spirituale dei candidati coniugati hanno incidenza peculiare il sacramento del matrimonio e la sua spiritualità.

La comunione di vita, che il matrimonio cristiano ha fatto nascere e continua a far crescere, è chiamata a esprimersi in modo singolare nel cammino di preparazione al diaconato da parte di chi è sposato.23 Si deve prestare attenzione alla solidità e ai frutti di questa comunione, riconoscendovi un segno dello Spirito da considerare non solo nel discernimento, ma anche nello sviluppo della vocazione diaconale di chi vive nel matrimonio.

Nella disponibilità allo Spirito i candidati camminino verso una sempre più intensa armonia tra il ministero diaconale e il ministero coniugale e familiare, così da viverli ambedue gioiosamente e totalmente.

Sia assicurata una particolare attenzione anche alle spose dei candidati, affinché crescano nella consapevolezza della vocazione del marito e del proprio compito accanto a lui. La loro presenza, premurosa e provvidenziale, eviterà ogni forma di indebita invadenza. Grande cura va data per costruire e garantire di continuo il giusto rapporto ecclesiale, nello Spirito del Signore, tra la famiglia e la più vasta comunità.

Opportune iniziative di sensibilizzazione al ministero diaconale siano rivolte anche ai figli.

  1. La chiesa italiana riconosce con particolare gratitudine il dono della vocazione al ministero diaconale nello stato di vita celibatario. Nei diaconi celibi la chiesa ritrova e promuove quella coerenza tra il carisma della verginità e la dedizione nel ministero ordinato che la tradizione della chiesa latina ha custodito nei secoli e che la sua disciplina canonica ritiene ancora di dover assicurare per i vescovi e i sacerdoti.

Una specifica attenzione va dedicata alla formazione dei candidati celibi, i quali, con la grazia della verginità per il regno dei cieli (cf. Lc 18,29-30), sono chiamati a riscrivere nell’attuale società l’antica tradizione del diaconato celibatario. Il carisma del celibato infatti si qualifica come segno caratteristico della spiritualità ministeriale, nel suo duplice volto di consacrazione a Dio e di dedizione alla chiesa (cf. can. 277, $ 1).

La formazione teologica

  1. La formazione teologica è finalizzata ad acquisire una conoscenza globale e approfondita della dottrina cattolica. Tale conoscenza, radicata nella familiarità con la parola di Dio, permette al diacono di alimentare con essa la propria vita spirituale, di annunciare fedelmente il Vangelo in piena docilità al magistero della chiesa e di misurare l’esercizio del diaconato su criteri maturi di fede.

«Si deve assolutamente escludere una preparazione affrettata o superficiale, perché i compiti dei diaconi (…) sono di tale importanza da esigere una formazione solida ed efficiente (…), una formazione dottrinale, che è al di sopra di quella di un semplice catechista e, in qualche modo, analoga a quella dei sacerdoti».24

  1. I candidati devono essere in possesso, ordinariamente, di un diploma di scuola secondaria, che abiliti agli studi universitari.
  2. Sulla base di un’adeguata preparazione culturale di scienze umane e filosofiche, la formazione teologica comprenda le scienze umane, teologiche e pastorali e preveda dei corsi complementari, in ordine a particolari aspetti e settori del ministero diaconale. È in ogni caso necessario l’insegnamento della sacra Scrittura, della teologia fondamentale, dogmatica e morale, della storia della chiesa, del diritto canonico, della liturgia, della teologia spirituale e pastorale e della dottrina sociale della chiesa.
  3. Il piano degli studi si avvalga, sin dove è possibile, degli istituti di scienze religiose, anche per abilitare i diaconi all’eventuale insegnamento della religione cattolica nelle scuole dello stato. Le scuole apposite per i candidati al diaconato, dove si possono istituire, si orientino verso un numero di ore analogo a quello degli istituti di scienze religiose, servendosi anche di forme di lezione non cattedratiche (incontri seminariali, ecc.).

Dove realmente le circostanze lo richiedono e sotto la responsabilità dei vescovi, siano previsti corsi personalizzati di studi, compatibili con gli impegni professionali e familiari dei candidati, tenendo conto anche della cultura già da essi precedentemente acquisita, assicurando però sempre un itinerario globale e organico di studio. Ciò comporterà prevedibilmente tempi più lunghi.25

Almeno i corsi delle discipline teologiche e pastorali si concludano con un esame.

La formazione pastorale

  1. Sia la formazione spirituale che quella più propriamente pastorale siano secondo le tappe dei ministeri istituiti (cf. can. 1035). In tal modo l’ascolto e l’approfondimento della Parola segneranno la preparazione al ministero del lettorato; la riscoperta della centralità dell’eucaristia sarà assicurata in vista dell’accolitato; la dimensione della carità permetterà di sintetizzare l’intero cammino formativo in vista dell’ordinazione diaconale.
  2. La formazione dei diaconi, in quanto orientata a preparare ministri della chiesa, ha sempre valore e carattere pastorale: proprio per un’esigenza intrinseca della loro vocazione essi sono chiamati a coltivare continuamente la sintesi tra fede, cultura e vita. Pertanto i vari aspetti della formazione non saranno pensati come se fossero indipendenti l’uno dall’altro; dovranno invece essere coltivati in modo fortemente unitario.

Tuttavia, in senso più stretto, si può indicare come «formazione pastorale» la cura destinata a far acquisire i principi, i metodi e le capacità operative concernenti l’esercizio del ministero diaconale, secondo la triplice articolazione della Parola, del sacramento e della carità, e a far assumere un atteggiamento di piena comunione e di cordiale collaborazione col vescovo, i presbiteri, i religiosi e i laici, in sintonia con gli obiettivi del piano pastorale della diocesi.

  1. La formazione pastorale deve prevedere inoltre sia opportune e guidate esperienze di esercizio ministeriale, intese a sviluppare, verificare e valutare le effettive capacità del candidato; sia la partecipazione alle iniziative pastorali diocesane e zonali; sia infine periodici scambi e verifiche con i diaconi già impegnati nel ministero.
  2. È cura del delegato vescovile integrare con adeguate iniziative i contenuti pastorali dei corsi seguiti dai candidati nel loro curricolo teologico, soprattutto per quanto concerne la celebrazione dei sacramenti, i libri liturgici, la preparazione dell’omelia, l’animazione dell’assemblea e della comunità.
  3. Il ministero

L’ordinazione e l’incardinazione

  1. Per essere ammessi all’ordinazione i candidati devono presentare domanda scritta al vescovo, dichiarando l’assoluta libertà di scelta e la volontà di dedicarsi in modo definitivo al ministero ecclesiastico del diaconato (cf. can. 1036).

I candidati coniugati devono presentare anche il consenso scritto delle rispettive mogli (cf. can. 1031, $ 2).

I candidati celibi devono assumere pubblicamente l’obbligo del celibato, mediante il rito prescritto (cf. can. 1037).

  1. Con l’ordinazione diaconale si diventa chierici e si viene incardinati nella chiesa particolare, o nell’istituto di vita consacrata, o nella società di vita apostolica (cf. can. 266), con le determinazioni dettate in materia dalla legislazione canonica vigente.

I diaconi ordinati al servizio di una chiesa particolare, per esercitare in via ordinaria il ministero in un’altra chiesa devono avere il consenso del proprio vescovo e l’autorizzazione del vescovo di quella diocesi (cf. can. 271).

Dal momento dell’ordinazione i diaconi sono tenuti all’obbligo quotidiano della celebrazione delle lodi mattutine, dei vespri e della compieta.26

L’esercizio del ministero

  1. I diaconi sono sacramentalmente uniti al vescovo, in quanto l’ordine li pone, nel modo loro proprio, a servizio del popolo di Dio, in comunione con il vescovo e con il presbiterio della diocesi (cf. Lumen gentium, n. 29). La consacrazione attraverso il sacramento dell’ordine è molto esigente per i diaconi: chiede loro matura responsabilità e permanente prontezza alla collaborazione, inserimento attivo e convinto nel piano pastorale diocesano, apertura e disponibilità per i bisogni dell’intera chiesa particolare.

Da parte loro il vescovo, i presbiteri e l’intera chiesa sono chiamati a riconoscere il dono che lo Spirito concede ai diaconi con l’ordinazione, abilitandoli a servizi ecclesiali significativi. Si avrà cura pertanto che non vengano loro affidati compiti solamente marginali o estemporanei, o semplici funzioni di supplenza. La loro presenza invece risulti inserita organicamente nella pastorale di comunione e di corresponsabilità della chiesa particolare.

  1. Nella multiforme ricchezza del dono ricevuto, che li destina alle varie attività del servizio della Parola, del sacramento e della carità, il ministero dei diaconi deve rimanere aperto alle sollecitazioni che dallo Spirito e dai segni dei tempi vengono alla chiesa e alla sua missione. Un servizio ecclesiale di ampio respiro chiede loro di essere pronti a rispondere all’esigenza, oggi particolarmente urgente, di una capillare evangelizzazione e testimonianza della carità nelle loro più svariate forme.

Ai diaconi si chiede particolare cura per l’educazione dei giovani al Vangelo della carità, per il servizio sollecito ai poveri con quell’amore preferenziale che fece grandi san Lorenzo e tutti i santi diaconi della storia della chiesa e che oggi reclama nuove e più audaci forme, nel contesto di una cultura della solidarietà evangelica, per l’educazione permanente dei cristiani alla necessaria presenza nel sociale e nel politico.27

  1. Tra i compiti dei diaconi ha un posto importante l’annuncio del Vangelo: il ministero loro riconosciuto di proclamare la pagina evangelica nella liturgia della Parola è il culmine e la fonte dell’esercizio autorevole di questo annuncio, che compete loro nella catechesi, nella predicazione e nell’omelia (cf. cann. 757; 767, $ 1). In particolare essi sono ministri qualificati per la preparazione catechetica e pastorale dei candidati ai sacramenti, dei genitori e dei padrini per il battesimo e la cresima. I diaconi presiedono inoltre la celebrazione della parola di Dio, anche quando è sostitutiva della messa festiva in caso di necessità (cf. can. 1248, $ 2).28
  2. I diaconi partecipano al ministero del culto divino (cf. can. 835, $ 3) anzitutto svolgendo i compiti che i libri liturgici loro riconoscono nella celebrazione dell’eucaristia, accanto al vescovo e ai presbiteri.29

Essi sono ministri ordinari della sacra comunione (cf. can. 910, $ 1), dell’esposizione e della benedizione eucaristica (cf. can. 943).

  1. I diaconi inoltre sono chiamati a molteplici funzioni liturgiche, in particolare sono ministri ordinari del battesimo (cf. can. 861, $ 1), nel rispetto del ministero del parroco cui compete la funzione speciale di conferire il battesimo ai propri parrocchiani (cf. can. 740, $ 1). Con la opportuna delega possono assistere al sacramento del matrimonio (cf. can. 1108, $ 1). Possono presiedere le esequie celebrate senza la messa30 e impartire le benedizioni espressamente consentite loro dai libri liturgici (cf. can. 1169, $ 3).
  2. Al diacono può essere affidato un compito specifico nella cura pastorale di una parrocchia, secondo il mandato e le disposizioni del vescovo: la parrocchia, infatti, è «l’ambiente usuale in cui la vasta maggioranza dei diaconi assolvono il mandato della loro ordinazione «per aiutare il vescovo e il suo presbiterio».31

Il diacono può essere impegnato anche nelle comunità parrocchiali senza presbitero residente e nelle parrocchie affidate in solidum a un gruppo di sacerdoti, per la cura di quegli ambiti che sono propri del ministero diaconale (cf. can. 517, $ 2). Tra i presbiteri e i diaconi si perseguano con generosa e reciproca pazienza le forme di una costruttiva e cordiale collaborazione.

Ai diaconi possono essere affidati impegni pastorali nelle strutture diocesane, come negli uffici di curia, negli organismi o commissioni diocesane, nei vicariati, nelle zone pastorali, nei quartieri e per l’animazione pastorale di fasce di età, di ambienti, di settori.

Il vescovo, nell’affidare il mandato, tenga conto delle necessità della diocesi e anche della condizione familiare e professionale del diacono.

Partecipi della sollecitudine di tutte le chiese, i vescovi siano pronti a far sì che i diaconi della loro diocesi si mettano a disposizione per servire le chiese che soffrono per scarsità di clero, sia in forma definitiva sia a tempo determinato, e, in particolare, per dedicarsi, previa una specifica accurata preparazione, alla missione ad gentes. I necessari rapporti siano regolati, con idonea convenzione, tra i vescovi interessati (cf. can. 271).

  1. Il ministero ecclesiale dei diaconi comporta che essi siano presenti negli organismi diocesani di partecipazione, in particolare nel consiglio pastorale diocesano (cf. cann. 511ss). Se in possesso di specifiche competenze, i diaconi potranno essere opportunamente chiamati a far parte del consiglio diocesano degli affari economici (cf. cann. 492ss). Del consiglio presbiterale, per la sua specifica natura, i diaconi non possono essere membri (cf. cann. 495, $ 1 e 498, $ 1).
  2. Attraverso i diaconi che svolgono attività professionale o lavorativa, il ministero si arricchisce di sensibilità, esigenze e provocazioni che derivano da una presenza capillare nei contesti umani più lontani dalla chiesa. Essi però non devono sostituirsi ai laici, i quali per loro specifica missione sono «particolarmente chiamati a rendere presente e operosa la chiesa in questi luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo». (Lumen gentium, n. 33; EV 1/369). Dai diaconi ci si attende che in mezzo ai fedeli siano animatori di questa diaconia che appartiene all’intero popolo di Dio.32 Non precipuamente ai diaconi, d’altra parte, appartiene il compito e l’onere dell’animazione cristiana delle realtà temporali, che è peculiare caratteristica della missione dei laici.33
  3. Secondo la disciplina della chiesa, i diaconi possono assumere ed esercitare una professione con o senza esercizio di potere civile; possono liberamente assumere l’amministrazione di beni temporali ed esercitare uffici secolari. Abbiano sempre cura di valutare ogni cosa con prudenza e, se necessario, chiedano consiglio al vescovo o al suo delegato (cf. can. 288).

Nell’esercizio delle attività commerciali e degli affari si distinguano nel dare buona testimonianza di onestà e di correttezza deontologica; osservino anzitutto gli obblighi della giustizia e le leggi civili.

Solo con il consenso del vescovo i diaconi possono svolgere attività sindacale, anche rivestendo funzioni direttive, sempre ispirandosi alla dottrina sociale della chiesa e favorendo la pace e la concordia, fondate sulla verità e sulla giustizia.

Non possono impegnarsi, invece, nella militanza attiva nei partiti politici e non assumano ruoli di rappresentanza democratica (consiglieri comunali e regionali, parlamentari nazionali) e di governo locale, regionale e nazionale.

  1. Il diacono religioso esercita il suo ministero sotto la potestà del vescovo in tutto ciò che riguarda la cura pastorale e l’esercizio pubblico del culto divino e le opere di apostolato, restando anche soggetto ai propri superiori, secondo le loro competenze,34 e mantenendosi fedele alla disciplina dell’istituto.

In caso di trasferimento ad altra comunità, di diversa diocesi, il superiore religioso deve presentare il diacono al vescovo diocesano per avere da questi il consenso all’esercizio del ministero secondo modalità da determinare.

Il sostentamento e la previdenza

  1. Il diacono provvede di norma al proprio sostentamento, e a quello della propria eventuale famiglia, mediante la remunerazione che gli deriva dalla professione civile, da altri redditi o dalle proprie pensioni.

Il diacono che, per mandato del vescovo diocesano, è impegnato in un ufficio ministeriale a tempo pieno, tale cioè da escludere l’esercizio di una professione civile, e che d’altra parte non è in grado di provvedere diversamente alla remunerazione adeguata alla sua condizione familiare, riceverà la remunerazione dall’ente o dagli enti ecclesiastici presso i quali egli svolge la sua funzione ministeriale.

  1. Nel mandato che conferisce l’ufficio a tempo pieno a un diacono, l’ordinario stabilisca l’importo della remunerazione e indicherà gli enti che la devono corrispondere. L’entità della remunerazione di un diacono, impegnato in un ufficio ministeriale a tempo pieno, deve tener conto sia dei criteri relativi alla remunerazione dei sacerdoti, sia della situazione familiare del diacono stesso.

Il vescovo, tenendo conto delle circostanze, provveda altresì all’eventuale rimborso spese per le attività di ministero.

  1. La formazione permanente
  2. La formazione permanente dei diaconi è un’esigenza che si pone in continuità con la formazione iniziale, la integra, la custodisce e la approfondisce.

La cura e l’impegno della formazione permanente sono segno di risposta coerente e generosa alla vocazione di Dio, di amore crescente alla chiesa e di attenzione agli uomini.

Anche al diacono si può, in qualche modo, applicare quanto l’apostolo Paolo scrive a Timoteo: «Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito… con l’imposizione delle mani. Abbi premura di queste cose, dedicati ad esse interamente perché tutti vedano il tuo progresso. Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano» (1Tm 4,14-16).

Le iniziative diocesane o interdiocesane per promuovere la formazione permanente costituiscono un punto di riferimento necessario per assicurare ai diaconi una continua crescita spirituale e un aggiornamento teologico e pastorale necessari per un ministero efficace e fruttuoso.

  1. Nel testo ora citato dell’apostolo Paolo35 si trova indicata la motivazione teologica più forte che giustifica e urge la formazione permanente del diacono: è il «dono spirituale» che gli è stato conferito con il sacramento a esigere di essere sempre più accolto e vissuto nella straordinaria ricchezza di grazia e di responsabilità.

In tal senso il programma dei fondamentali contenuti della formazione permanente ha la sua più semplice e impegnativa formulazione nella Preghiera di ordinazione, nella quale così il Signore viene supplicato: «Effondi in loro lo Spirito Santo, che li fortifichi con i sette doni della tua grazia, perché compiano fedelmente l’opera del ministero. Siano di esempio in ogni virtù, sinceri nella carità, premurosi verso i poveri e i deboli, umili nel loro servizio, retti e puri di cuore, vigilanti e fedeli nello spirito. La loro vita, generosa e casta, sia un richiamo costante al Vangelo e susciti imitatori nel tuo popolo santo. Sostenuti dalla coscienza del bene compiuto, forti e perseveranti nella fede, siano immagine del tuo Figlio, che non venne per essere servito ma per servire, e giungano con lui alla gloria del tuo regno».36

  1. La formazione permanente deve abbracciare tutti gli ambiti formativi degli anni di preparazione al ministero, alternando momenti di spiritualità, attività di studio e ricerca, ed esperienze pastorali concrete.

Le iniziative possono avere ritmi periodici, anche di breve durata (giornate di spiritualità, di studio, conferenze) ed esperienze di più organica configurazione e di più rigoroso impegno scientifico e didattico (corsi integrativi teologico-pastorali, iniziative e convegni nazionali su temi inerenti il diaconato e il 1ministero diaconale).

Occorre favorire la partecipazione di tutti i diaconi alle varie iniziative della formazione permanente, perché si promuova un clima di comunione fraterna fra loro. In ordine a questo obiettivo può essere utile l’istituzione presso la Conferenza episcopale italiana di una commissione diaconale nazionale.

Obiettivo e frutto della partecipazione dei diaconi al cammino di formazione permanente è anche l’opportuno aiuto che essi possono ricevere nelle loro eventuali difficoltà familiari, professionali e pastorali.

Si favorisca, infine, il coinvolgimento delle mogli per aiutare la crescita della famiglia e per rispondere ai problemi che la nuova condizione potrebbe far sorgere.

  1. In ordine alla formazione permanente dei diaconi, nonché ai diversi aspetti di discernimento, formazione e ministero, sarà prezioso il lavoro della Commissione episcopale per il clero.

Conclusione

  1. Questo documento viene ora consegnato a tutte le chiese particolari d’Italia, in primo luogo a quelle diocesi in cui il diaconato permanente è già una realtà viva e operante. In queste il documento potrà essere un nuovo punto di riferimento per un’ulteriore precisazione del ministero diaconale, nella sua identità teologica, spirituale e pastorale, e nel suo servizio in comunione con il vescovo e con gli altri ministeri impegnati nell’unica missione della chiesa.

Ma il presente documento si raccomanda all’attenzione anche delle altre diocesi, nelle quali manca ancora il diaconato permanente. La sua restaurazione non va presa in considerazione soltanto perché sollecitati dalla riduzione numerica dei presbiteri, quasi fosse un’alternativa alla scarsità di vocazioni sacerdotali. Va considerata piuttosto come espressione di una chiesa impegnata a crescere nel servizio del Regno con la valorizzazione di tutti i gradi del ministero ordinato. È lo Spirito infatti che muove e unifica la chiesa «nella comunione e nel servizio e la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici con i quali la dirige, la abbellisce dei suoi frutti» (Lumen gentium, n. 4; EV 1/287). In tal senso la presentazione positiva e convincente del dono del diaconato permanente è un’occasione provvidenziale per annunciare il mistero della chiesa in rapporto a Cristo e alla sua missione di salvezza nella storia.

Il documento vuole essere uno strumento di riflessione per le comunità cristiane, e in particolare per i presbiteri diocesani, al fine di dare nuovo slancio alla crescita delle nostre chiese nella linea di una comunione più profonda e di un dinamismo missionario più incisivo con la generosa valorizzazione di tutti i doni dello Spirito del Signore risorto.

Roma, dalla sede della CEI, 1o giugno 1993.

Camillo card. Ruini, vicario generale di sua santità per la città di Roma,

presidente della Conferenza episcopale italiana

Dionigi Tettamanzi, segretario generale

 

 

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Note:

1 Cf. i nn. 12-17, 19-20, 23-24, 29-33, 47.

2 Cf. CEI, Evangelizzazione e ministeri, n. 90; ECEI 2/2861.

3 Cf. CEI, Ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, «Preghiera di ordinazione», Roma 1979, n. 186.

4 Cf. S. Clemente, Lettera ai corinzi, 14, 1-5.

5 S. Ignazio di Antiochia, Alla chiesa di Tralli, 2,3. Cf. anche Alla chiesa di Smirne, 8,1; A Policarpo, 6,1; Alla chiesa di Magnesia, 6,1; 13,1; Alla chiesa di Filadelfia, saluto.

6 Cf. Erma, Il Pastore, Similitudine 9, 26, 1-2.

7 Cf. S. Giustino, Prima apologia, 65 e 67.

8 Cf. S. Policarpo, Lettera ai filippesi, 3, 1-2.

9 Tradizione apostolica, VIII.

10 Didascalia degli apostoli, 11, 44.

11 Cf. S. Gerolamo, Lettera 146 al presbitero Evangelo; S. Gregorio Magno, Lettera 1 al vescovo Gennaro, 26.

12 Concilio di Trento, sessione XXIII, Decreto De reformatione.

13 Giovanni Paolo II, Liturgia, predicazione, carità per servire il popolo di Dio, 16.3.1985: Insegnamenti VIII/1, 649.

14 Cf. Lumen gentium, n. 29, che ripropone l’antica formula dei diaconi ai quali sono imposte le mani «non per il sacerdozio, ma per il servizio» (non ad sacerdotium, sed ad ministerium); EV 1/359.

15 Cf. Giovanni Paolo II, esortazione Christifideles laici, n. 34; EV 11/1751s; CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 26; ECEI 4/2744.

16 CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 21: ECEI 4/2739.

17 Cf. CEI, Comunione e comunità, nn. 58-68; ECEI 3/689-699.

18 CEI, Vocazioni nella chiesa italiana, n. 1; ECEI 3/2439.

19 S. Policarpo, Lettera ai filippesi, 5,2.

20 Didascalia degli apostoli, 16,13.

21 CEI, Ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, «Preghiera eucaristica», n. 230.

22 CEI, Ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, «Riti esplicativi: consegna del libro dei Vangeli», n. 189.

23 Cf. Giovanni Paolo II, I diaconi permanenti sono i servitori dei misteri di Cristo e dei propri fratelli, Detroit, 19.9.1987: Insegnamenti X/3, 654-661.

24 Congregazione per l’educazione cattolica, Lettera circolare Come è a conoscenza, 16.7.1969; EV 3/1410.

25 Cf. Lett. circ. Come è a conoscenza; EV 3/1412.

26 Cf. Delibera CEI, n. 1, 23.12.1983; ECEI 3/1589. Cf. inoltre can. 276, $ 2, n. 3.

27 Cf. CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, nn. 43-52; ECEI 4/2771-2790.

28 Cf. Congregazione per il culto divino, Christi ecclesia, n. 29; EV 11/743.

29 Cf. CEI, Principi e norme per l’uso del Messale romano, ed. 1983, nn. 127-141; EV 3/2178-2192.

30 Cf. CEI, Il rito delle esequie, Premesse, n. 19; EV 3/1441.

31 Giovanni Paolo II, I diaconi permanenti sono i servitori dei misteri di Cristo e dei propri fratelli, Detroit, 19.9.1987: Insegnamenti X, 3, 659.

32 Cf. Paolo VI, motu proprio Ad pascendum: AAS 64(1972), 534-540; EV 4/1771-1793.

33 Cf. Giovanni Paolo II, esortazione Christifideles laici, n. 15; EV 11/1654ss.

34 Cf. Ibid.

35 Cf. anche 2Tm 1,6: «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te».

36 CEI, Ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, «Imposizione delle mani e preghiera di ordinazione», n. 186.