Consiglio Diocesano per il Diaconato: resoconto e riflessioni

Il Consiglio diocesano per il Diaconato nella riunione del 5 maggio 2017 ha ripreso l’intervento del Pontefice sui diaconi permanenti in occasione della visita a Milano del 25 marzo u.s. soffermandosi poi sul resoconto del Rettore, relativamente all’incontro avuto con i decani delle sette zone pastorali della diocesi e su qualche prima indicazione in merito allo svolgimento del XXX° anniversario del ripristino del diaconato nella diocesi ambrosiana.

In apertura Msg. Delpini (Responsabile per il diaconato permanente) ha ricordato che il Consiglio episcopale milanese (CEM) il 26 aprile us. ha avuto modo di approfondire con il Rettore alcuni punti di interesse diocesano finalizzati alla promozione del ministero diaconale; il Vicario Generale ha precisato che non vi sono state conclusioni operative al termine di tale confronto ma ha tenuto a sottolineare la rilevanza del fatto che il CEM abbia messo a tema l’approfondimento di questo ministero e ne sia uscita dalla discussione un unanime apprezzamento di esso.

A tale proposito il Rettore ha tenuto a sottolineare come i membri del Consiglio si siano soffermati in particolar modo sulla “identità” del diacono costituita anzitutto dall’appartenenza al clero. Una identità pertanto con delle caratteristiche ben precise: ecclesiale (il diacono partecipa nel proprio grado al sacramento dell’Ordine), comunionale (in virtù della partecipazione al sacramento dell’Ordine il diacono serve la Chiesa in unione fraterna ai sacerdoti) e totalizzante (tutta la persona del ministro, anche pertanto l’ambito familiare e professionale, caratterizza la figura del diacono).

In tale ottica pertanto il Consiglio episcopale milanese ha ribadito come non sia corretto vedere i i diaconi separati dal corpo clericale ed ha auspicato nel contempo che nella Chiesa possa maturare un sincero desiderio per la presenza ministeriale del diacono.

 

RIPRESA DELL’INTERVENTO DEL PAPA SUI DIACONI PERMANENTI IN OCCASIONE DELLA VISITA A MILANO IL 25 MARZO 2017.

E’ stato marcato come il Pontefice nel suo intervento in Duomo abbia richiamato il tema del “servizio” e l’Arcivescovo abbia riaffermato la necessità di ripartire da questo concetto fondamentale per una nuova teologia del diaconato permanente.

“Diakonos” e “diakonia” indicano “colui che serve” ed il “servizio” reso: non si tratta di un servizio generico ma del “servizio alla mensa”, nel mondo antico proprio delle donne e degli schiavi. La diakonia dunque suggerisce una funzione socialmente iscritta nel rapporto di dipendenza servo/padrone.

Nel Nuovo Testamento, tuttavia, il termine subisce una trasformazione radicale. Per Gesù infatti il “servire” ed il “servizio” rappresentano il tratto costitutivo dell’essere suoi discepoli. Egli chiede che tra i suoi “il più grande diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve“ perché Lui stesso è in mezzo a loro come “colui che serve” (LC 22,26-27).

Il Rettore perciò in quest’ottica ha cercato di intravedere il “servizio diaconale” secondo 3 dimensioni:

1) dimensione simbolica: come Gesù, nei confronti dei suoi discepoli, si comportava come “colui che serve”, così i diaconi, facendo memoria di quella diaconia, nella Chiesa sono i custodi del “servizio”, perché tutto il popolo di Dio impari a servire come il Maestro. Emblematico un passaggio della Didascalia apostolorum circa lo spirito del servizio diaconale e la consapevolezza del dover con esso ripresentare Cristo servo: «Come dice il Signore nel Vangelo: “Chi tra voi vuole essere il primo, sia il vostro schiavo, come il Figlio dell’uomo il quale non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”. Così dunque dovete fare anche voi diaconi, cioè dare la vita per il fratello, se lo esige la necessità del vostro ministero. Se dunque il Signore si è fatto nostro servo ed ha sopportato per noi ogni cosa, quanto più dobbiamo farlo per i fratelli, dal momento che siamo stati messi al posto di Cristo. Infatti nel Vangelo troverete scritto come il Signore nostro lavò i nostri piedi. Facendo ciò indicava la carità fraterna, poiché facessimo così anche noi gli uni con gli altri. Se dunque il Signore ha fatto questo, voi diaconi non esitate a fare ciò con gli invalidi ed i malati, perché siete operai della verità, rivestiti ad immagine di Cristo» (cfr 3,13; 3-5);

2) il potere di servire: nella chiesa antica il ministero dei diaconi era strettamente connesso a quello del vescovo. Essi erano il tramite della carità del vescovo all’interno ed all’esterno della comunità locale. Ai diaconi era infatti assegnata l’amministrazione dei beni e l’esercizio della carità (cfr Traditio apostolica 8; Canoni apostolici 20,3; 22,1). Il diacono invero poi era caratterizzato anche da un compito liturgico, ma questo era espressivo di quello extra-liturgico e tutt’uno con esso. Prendendo in prestito le parole del teologo belga Alphonse Borras, vicario generale della diocesi di Liegi nonché specialista della teologia del diaconato, possiamo affermare che se il sacerdote ha il compito di condurre ed unire tutti, il diacono ha quello di raggiungere tutti; ha una relazione col bisogno e può essere risposta al bisogno;

3) l’arte del servire:  lo stile del “servizio” potrebbe essere, per esempio, quello evocato dalla figura del cellerario bene descritta nel capitolo 31 della Regola di San Benedetto.

Nei monasteri benedettini il cellerario (quello che oggi chiameremmo “economo”) è il monaco a cui e` affidata la cura dei beni materiali del monastero e che pensa a distribuirli ai fratelli e a quanti altri beneficiano del patrimonio del monastero: ospiti e poveri.

La Regola vuole che l’abate non si preoccupi troppo dei beni materiali, ma pensi sopratutto al suo ufficio spirituale. Perciò alle cose temporali ci deve pensare il cellerario. Ma lo deve fare in modo religioso e spirituale. Questo appare chiaro dal citato capitolo 31, che é uno dei più belli di tutta la Regola. Più che un elenco di obblighi derivanti dall’ufficio, vi troviamo delineata l’immagine ideale del monaco che ha questo incarico; é un piccolo trattato di spiritualità in cui l’interesse morale domina e anima tutte le prescrizioni di carattere pratico sulle quali sorvoliamo in questa sede.

Ci si limita qui a ricordare le qualità che il cellerario deve coltivare ed i vizi che deve evitare. Innanzitutto “non essere indolente o pigro” ma anche “non avaro”. E poi “essere come un padre”: il cellerario infatti é il braccio destro dell’abate per ciò che riguarda sopratutto gli interessi e i bisogni temporali, perciò San Benedetto vuole uno che sappia avere cuore e volontà di padre, come vuole per l’abate.

Il cellerario poi deve preoccuparsi di tutto e di tutti ma soprattutto avere una cura speciale per i più deboli: malati, fanciulli, ospiti e poveri. Una virtu` che gli viene molto raccomandata è l’umiltà che dovrà saper dimostrare nel non contristare i fratelli.

San Benedetto, infine, annovera la tristezza tra i vizi capitali. Si tratta, evidentemente, di quella tristezza che nasce dallo scontento, dall’insoddisfazione, dal rancore.

Tutti requisiti, questi, che ben si adattano alla figura del diacono.

A conclusione del suo intervento il Rettore ha tenuto a sottolineare che, di certo, il primo ambito di attività dei diaconi è quello caritativo, descritto nella nota pericope degli Atti degli Apostoli (At 6,1-6), a cui hanno fatto e fanno riferimento la letteratura cristiana, la predicazione, il magistero e la liturgia di ordinazione per trattare dei diaconi, soprattutto per quanto riguarda l’imposizione delle mani da parte degli Apostoli ed il servizio alle mense. Inoltre è l’ambito che maggiormente risplende nella figura di uno dei più celebri diaconi dell’antichità, San Lorenzo.

Ma, tuttavia, il fondamento del ministero non è in Atti 6 (la recezione oggi pressoché unanime dell’esegesi di questa pericope non riconosce esplicitamente nei “Sette” i primi diaconi della Chiesa) bensì è da ricercarsi nella diaconia di Gesù; lo specifico del diacono invero sta nel fatto che agisce in persona Christi servi. Il diacono sarebbe allora l’icona del Cristo quale Servo dell’umanità intera come scritto in LG 29, dove s’insegna che i diaconi ricevono l’imposizione delle mani «non per il sacerdozio, ma per il servizio».

Il diaconato è essenzialmente servizio e questo significa che per quanto riguarda la figura teologica del servizio è corretto rifarsi alla dimensione cristologica. Già abbiamo visto che la Scrittura ci rivela che Cristo è venuto “per servire e per dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45), il che spiega l’identità del servire e del dare la vita. Se il diacono viene sacramentalmente configurato a Cristo specificatamente nel servizio, allora la cosa non può avere solo un senso morale e volontaristico, ma è la cifra della Grazia sacramentale che agisce anche al di là dei limiti umani.

Concetti questi, richiamati e precisati il 29 ottobre 2009 anche da Papa Benedetto XVI nel Motu proprio Omnium in mentem” che ha introdotto modifiche ai canoni del codice di diritto canonico che si riferiscono ai sacri ministri (canoni 1008 e 1009).

Le modifiche introdotte a questi canoni si riferiscono in particolar modo alla funzione ministeriale dei diaconi.

Il citato Motu proprio, nel modificare i predetti canoni, non affermerà più che il sacramento conferisce la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, ma si limiterà ad affermare, in maniera più generica, che chi riceve l’Ordine Sacro è destinato a servire il popolo di Dio per un nuovo e peculiare titolo e che il ministro costituito nell’Ordine dell’Episcopato o del Presbiterato riceve la missione e la facoltà di agire in persona di Cristo Capo, mentre i Diaconi ricevono l’abilitazione a servire il Popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della Parola e della Carità.

La distinzione che si è voluta fare tra i sacri ministri è da ritenersi opportuna in quanto la diaconia è svolta in nome di Cristo Servo e non in nome di Cristo Capo come afferma LG 29.

 

BREVE RESOCONTO DELL’INCONTRO DEL RETTORE CON I DECANI DELLE SETTE ZONE PASTORALI DELLA DIOCESI.

Don Giuseppe ha riscontrato un generale apprezzamento da parte dei decani; solo in pochi casi ha riscontrato scetticismo ma non legato al ministero ma al singolo diacono.

Nelle riunione é emersa qualche domanda sull’identità del diacono. Per identificare il diacono si cade fatalmente in logiche fuorvianti, determinate per lo più da due domande: che cosa può fare? (logica funzionale); in cosa si differenzia dal prete? (logica competitiva, perché in fin dei conti la differenza si riduce all’essere di più o di meno).

Risultato è che il diacono resta tutt’ora una figura misteriosa per certi versi per la gente comune ma di frequente anche per gli addetti ai lavori. Nel vissuto ecclesiale fatica a trovare posto tra la coppia ministeriale vescovo-prete, omologata da tanti secoli di consuetudine storica, e non di meno fatica ad essere identificato, per assenza di figure storiche di riferimento, tra la coppia prete-laico.

Nascono allora di qui le complicazioni evidenziate dai decani e soggiacenti ad alcuni schemi entrati inconsapevolmente nel nostro immaginario.

Alcuni riducono il diacono al ruolo di “ministro aggiunto”, ma sostanzialmente inutile, perché, in molti casi, non si sa cosa fargli fare. Ulteriori complicazioni nascono e si manifestano nell’ansia di ritagliargli uno specifico campo d’azione, sottraendo compiti e spazio un po’ al prete ed un po’ al laico.

Altri inseriscono il diacono in una posizione ministeriale rigidamente gerarchico-discendente, la qual cosa però suggerisce rapporti di antagonismo con i laici e di soggezione più o meno mal digerita con i presbiteri.

Alcuni infine riconoscono il diacono come “ministro d’emergenza”. In una Chiesa (il fenomeno, per fortuna, non è ancora un allarme nella nostra diocesi) che potrebbe dover a breve fare i conti con sempre più “buchi” nell’organico, è comprensibile una lettura funzionale di supplenza sullo sfondo del problema della carenza dei sacerdoti.

Ovviamente nessuno di questi schemi riesce a mostrare la specificità teologica e ministeriale del diacono; sono anzi pre-comprensioni (peraltro sollevati anche dal Papa in visita a Milano lo scorso 25 marzo) che rischiano di innescare rapporti competitivi anziché collaborativi nella Chiesa, in analogia a quel che accade nelle dinamiche familiari quando i ruoli non sono ben chiari ed ogni cosa diventa pretesto per una lotta per prevalere (o per sopravvivere) e questo è disdicevole perché la Chiesa è la famiglia dei credenti in Cristo.

Da questi incontri è emersa la necessità di ancorarsi di più al dato teologico per una corretta comprensione del diaconato; dato da cui si evince che l’esserci del diacono ha a che fare non semplicemente con un ruolo particolare, grande o piccolo che sia, bensì con l’esistenza stessa della Chiesa, così come l’ha voluta Gesù Cristo.

I decani, da ultimo, hanno auspicato, anche per evitare le “mezze destinazioni” che lasciano ai diaconi il dubbio che la diocesi non sia in grado di impiegarli correttamente, un maggior coraggio negli incarichi percorrendo anche vie nuove (sebbene risulti per tutti molto più comodo percorrere vie già conosciute che tuttavia potrebbero alla lunga rivelarsi vie chiuse).

Il Rettore ha fatto presente, al riguardo che, ad oggi, solo 9 diaconi hanno un incarico prevalentemente decanale. La maggior parte sono impegnati in parrocchia col rischio, già visto purtroppo, che i compiti liturgici di alcuni di essi delimitino una figura avvicinabile al sacrestano od al chierichetto.

L’apprezzamento dei decani per le destinazioni decanali, considerate come la migliore espressione del ministero, è degna di essere presa in seria considerazione per tentare il superamento degli aspetti non positivi dell’involuzione parrocchiale del diaconato, che potrebbe farlo diventare un ministro irrigidito, incapace di portare fermenti di novità.

Con questo non si vuole affermare che la parrocchia non deve più essere l’ambito di lavoro del diacono ma che non deve esserlo in modo acritico.

Se il ministero del diacono è legato alla carità, cioè alla cura per le povertà di ogni genere in nome della Chiesa ed è collegato alla sua missione evangelizzatrice, il suo non può che essere un ministero proiettato nel mondo.

Le ultime indagini sul cattolicesimo nel nostro Paese mostra innanzitutto una situazione di minoranza: sono solo il 10 per cento quelli che potremmo definire convinti, per lo più appartenenti a movimenti ed associazioni; e poi c’è un altro 20 per cento circa di “osservanti del precetto domenicale”. E’ evidente la situazione di minoranza e l’urgenza di figure ecclesiali dialogiche che sappiano parlare il linguaggio franco e comprensibile, soprattutto con quel 10 per cento di non credenti, indifferenti, lontani o contrari e quel 50 per cento e più di coloro che hanno un rapporto saltuario con la Chiesa.

Per queste sfide la ricetta non è ancora pronta ma i diaconi hanno tuttavia una parte in queste sfide, di certo non in modo esclusivo s’intende, ma sembra giunto il tempo di abbandonare i timori e di osare: è qui che si misura se si crede veramente al diaconato lasciando che i diaconi tentino nuove strade.

E’ un po’ anche il pensiero del precedente Rettore Msg. Luca Bressan che sostiene essere il diaconato un ministero per nuovi contesti ecclesiali ovvero destinato a stare sui confini con la possibilità di dare risposte a domande di senso.

Relativamente a questo punto Msg Delpini ha rimarcato il rischio (da superare) che il diacono venga inteso come un collaboratore del parroco. Questo non appare corretto perché sacerdoti e diaconi sono entrambi collaboratori del vescovo in quanto appartenenti al clero che è unico.

Molto ovviamente dipende dall’impostazione dei parroci che dovrebbero impostare il rapporto coi diaconi in un’ottica di fratellanza e non di subordinazione.

Ciò contribuirebbe ad evitare tutte quelle situazioni difficili emerse sin’ora, da evitare.

Anche al fine di limitare inutili rivendicazioni di ruolo il Vicario Generale ha auspicato pure una riforma nell’ambito liturgico di modo che i diaconi possano avere maggiore visibilità e non entrare così in competizione col sacerdote.

 

SVOLGIMENTO DEL XXX° ANNIVERSARIO DEL RIPRISTINO DEL DIACONATO NELLA DIOCESI AMBROSIANA.

Il Rettore ha reso noto che il Convegno (aperto a tutti ma in particolare ai parroci ed ai membri del Consiglio Pastorale Diocesano) si svolgerà presso il Centro Pastorale Ambrosiano (ex Seminario) di Seveso sabato 14 ottobre (mezza giornata).

Non sarà un momento celebrativo ma di riflessione guidati da una relazione principale (si ipotizza di affidarne il compito a don Tullio Citrini) e da qualche testimonianza (un parroco, due diaconi ed una moglie ad esempio) e con l’intervento dell’Arcivescovo (attuale o nuovo che sia).

Incontrando l’Ordinario in tale circostanza, il consueto incontro di fine agosto fra il corpo diaconale ed il proprio Arcivescovo quest’anno non verrà tenuto.

Durante l’incontro si è anche accennato di sfuggita un argomento che potrebbe in seguito essere affrontato in maniera più approfondita, ovvero “come possono i diaconi essere consiglieri del proprio vescovo”.

Il Vicario Generale ha ribadito che, al momento, per le problematiche inerenti il ministero, i diaconi consigliano il vescovo attraverso i propri rappresentanti (tre) presenti nel Consiglio Diocesano per il Diaconato mentre, per le problematiche di interesse diocesano, si deve fare riferimento al Consiglio Pastorale Diocesano a cui partecipano due diaconi. La strada da percorrere è pertanto quella di rafforzare il legame fra il corpo diaconale ed i propri rappresentanti presenti nei due organismi predetti.

Da ultimo il Rettore ha comunicato che le prossime ordinazioni diaconali si terranno la mattina di sabato 4 novembre durante il Pontificale di San Carlo Borromeo, compatrono della diocesi. La data è stata preferita per dare maggiore visibilità al diaconato permanente ma anche per favorire una maggior partecipazione di fedeli ad una celebrazione, come quella di S. Carlo, di solito poco partecipata. La collocazione è stata anticipata al mattino in quanto orario preferito dal clero.

Diacono Marzio Consonni