Avvento: educarsi ad una vicinanza

I diaconi, riuniti per il ritiro di Avvento, hanno ascoltato la riflessione di mons. Luca Raimondi – Vicario Episcopale per la Zona IV.

Questa è la traccia che ha guidato la riflessione e la preghiera:

La spiritualità dell’Avvento si declina su tre fattori determinanti:

  • L’ attesa della venuta finale di Cristo.
  • La memoria della venuta storica, nella carne, del Signore.
  • La venuta di Gesù Cristo nella quotidianità.

Tutto questo è testimonianza di una vicinanza di Dio all’uomo …

  • Nel compimento delle sue speranza e del suo desiderio.
  • Nella confortante memoria di essere salvato.
  • Nel senso di una Presenza che lo accompagna. La Sua vicinanza.

La parola del Papa ai rettori di seminari del Brasile, in piazza S. Pietro:

“Il lavoro vostro, del rettore è molto, molto importante per formare nuovi preti (diaconi) che siano liberi ma liberi nel cuore, liberi nell’amore a Gesù e alla gente.

I preti (diaconi) devono essere specialisti in vicinanze.

Vicinanza a Dio nella preghiera.

Seconda vicinanza, al vescovo: “ma questo vescovo non mi piace”, ma è il tuo vescovo! Vicinanza al vescovo.

Terzo vicinanza fra voi: mai chiacchierare uno contro l’altro e mai sparlare, mai. Fratelli!

E se tu hai qualcosa contro questo: dillo in faccia. Vicinanza.

Quarto, vicinanza col popolo di Dio. Perché tutti noi, preti(diaconi), siamo stati presi dal popolo di Dio. Cosa dice Paolo a Timoteo? “Ricordati della tua mamma e della tua nonna”. Il popolo da dove viene!

Quattro vicinanze: a Dio, al vescovo, tra noi e al popolo di Dio. Non dimenticatelo!”.

  • A Dio nella Preghiera: come si traduce per un diacono? E’ storia di un amore? Cosa la caratterizza se sono sposato? Quale comunione amorosa, se sono celibe? Come me la gioco nel quotidiano? Quale senso della Presenza?
  • Al vescovo. Riferimento imprescindibile o ricordo di un’ordinazione? E’ una comunione che ci aiuta superare le frustrazioni: come sento la presenza del vescovo?
  • Fra noi. Appartengo ad un corpo: quello diaconale e quello di una fraternità nel sacramento dell’ordine anche con i presbiteri: quale sostegno reciproco?
  • Al popolo. Fare memoria di una appartenenza “ti tira giù dall’altare”! Quale storia mi ha portato, sostenuto nella fede? Quale vicinanza al popolo mi educa sempre da capo? Quale sguardo sulla gente che condivide con me la vita?

 

Lettera di don Tonino Bello,vescovo di Molfetta al suo primo diacono permanente (Sergio Loiacono, ordinato il 4/10/1989).

Carissimo Sergio, te l’ho detto a voce, ma voglio ripetermi.     

Tecnicamente, l’appellativo diacono permanente si dà a colui che, una volta salito sul primo dei gradini dell’ordine sacro, il diaconato appunto, si ferma in modo stabile lì, senza la prospettiva di ascendere, in seguito, agli altri due livelli: del presbiterato, cioè, e dell’episcopato. La spiegazione non mi piace.            

Mi sa malinconicamente di negativo. Mi dà troppo il sapore di binario morto. Allude in modo molto scoperto ai galloni di quei soldati scelti che, non dovendo fare carriera, rimangono appuntati per tutta la vita. Sembra, insomma, più il traguardo ultimo che recide le illusioni dell’«oltre», che lo «status» di chi annuncia con gioia che tutta la vita deve essere messa al servizio di Dio e dei fratelli.

Ti voglio dire, allora, qual è la disposizione d’animo con la quale tra giorni ti imporrò le mani sul capo. Vedi, Sergio, desidero che tu sia per la nostra Chiesa locale il segno luminoso della sua diaconia permanente. L’icona del suo radicale rifiuto per ogni mentalità da «part-time». Il simbolo dell’antiprovvisorietà del suo servizio. Il richiamo contro tutte le tentazioni di interpretare con moduli di dopolavoro l’impegno per i poveri. La negazione di ogni precariato che voglia includere, non solo nella diaconia della carità, ma anche in quella della Parola e della lode liturgica, la banalità aziendale del «turn-over». Auguri, Sergio. I laici, vedendoti, si sentano messi in crisi per l’incapacità di dare al loro servizio ecclesiale lo spessore del tempo pieno e, forse, neppure quello del tempo prolungato.          I religiosi ti sperimentino come provocazione alla totalità di una scelta, che è permanente non tanto perché impedita di far passi in avanti quanto perché esorcizzata dal pericolo di far passi all’indietro, con quelle quotidiane ritrattazioni di fedeltà che a poco a poco si rimangiano la bellezza del dono.  I presbiteri ti accompagnino per leggere nella tua vita il filo rosso che deve attraversare tutto l’arco della loro esperienza sacerdotale: la completezza dell’offertorio, la stabilità della consacrazione, il servizio della comunione.     

E anche il tuo vescovo, invocando lo Spirito su di te, comprenda che il diaconato permanente, se è il gradino più basso nella gerarchia dell’ordine sacro, è, però, la soglia più alta che l’avvicina a Cristo, «diacono di Jahvè». Dai, Sergio. Con me ti benedice tutto il popolo di Dio.                                                                              

+ don Tonino, vescovo

 

Venegono Inferiore, 1 dicembre 2019